La corsa per le presidenziali in Senegal, previste per fine febbraio, s’infiamma con la candidatura di Youssou N’Dour, annunciata qualche giorno fa. La discesa in campo del noto cantante e businessman è l’esempio, l’ultimo e più eclatante, della mobilitazione della società civile senegalese promossa in particolare del mondo della musica rap, in vista delle prossime elezioni.
Le presidenziali del 26 febbraio saranno un appuntamento importante, non solo nella storia politica del paese. Indipendente dal ’60, il Senegal è stato governato per venti anni dal linguista e poeta Léopold Sédar Senghor seguendo l’approccio autoritario tipico di quasi tutti gli stati africani post-coloniali, impegnati negli sforzi per la costruzione dello stato nazionale e dalle necessità dello sviluppo economico. Al contrario di molti altri leader africani di “prima generazione”, nel dicembre 1980, Senghor lasciò volontariamente il potere, aprendo alle spinte democratiche e favorendo l’alternanza. Da allora, il Senegal è stato tradizionalmente considerato come la “vetrina democratica” dell’Africa occidentale ed un esempio per l’intero continente. L’eredità di Senghor è stata ripresa da Abdou Diouf, delfino dello stesso Senghor; ma è l’attuale presidente Abdoulaye Wade che, con la sua vittoria alle elezioni del 2000, ha realizzato una formale “alternanza” al potere con la sua coalizione “Soopi” (cambiamento, in wolof).
Il presidende Wade (spesso chiamato gorgi, “il vecchio”) oggi sembra rimangiarsi quella promessa di cambiamento. All’età di 85 anni e con due mandati alle spalle ha deciso di ripresentarsi come candidato del suo partito, il PDS, opponendosi al dettato costituzionale e scatenando non poche polemiche all’interno del paese. La costituzione stabiliva, infatti, la possibilità di due soli mandati presidenziali della durata di 5 anni, portati a 7 anni nel 2007. Il che basterebbe a mettere fuori gioco l’attuale presidente. Tuttavia, Wade non sembra voler lasciare il potere, considerando l’attuale mandato come il primo a partire dalla modifica costituzionale del 2007, rendendolo quindi libero di partecipare alle presidenziali del 2012. Inoltre, nel giugno dello scorso anno, il presidente ha anche presentato un progetto di riforma costituzionale particolarmente controverso che avrebbe di fatto aperto la strada a suo figlio Karim, alla presidenza del paese.
Il paese però non è rimasto a guardare. Il Senegal di oggi non è più quello che portò al potere Wade nel 2000 prima e nel 2007 poi. E’ un paese molto più disilluso, che non crede più alle sue promesse, deluso da alcuni scandali (quello Segura, giusto per citarme uno) e soprattutto seccato dall’insistenza del presidente a voler imporre suo figlio Karim come suo successore. I senegalesi hanno già mostrato alle comunali del 2009 la loro insofferenza ed antipatia verso Karim Wade, bocciandolo come candidato-sindaco di Dakar. Risultato: è stato promosso a ministro della Repubblica dal padre.
Tale insofferenza verso le macchinazioni del potere si è espressa proprio in occasione della presentazione della riforma costituzionale che è stata accolta da una due giorni di proteste davanti al parlamento, estese poi a tutta Dakar, con un bilancio di circa un centinaio di feriti (23-24 giugno 2011). I protagonisti delle proteste sono una sessantina tra organizzazioni politiche e della società civile riunite nel “Mouvement des forces vives de la Nation” (M23) con lo slogan “Touche pas à ma Constitution”, cioè “Non toccare la mia Costituzione”. Tali proteste sono riuscite nel loro intento: il 24 giugno il progetto di riforma costituzionale è stato ritirato ma, nello stesso tempo, il presidente confermava la sua candidatura per le presidenziali.
Poco più tardi, il 14 luglio, Wade affermava: “Ma waxoon, waxeet”, ovvero “avevo detto che non mi candidavo, ma ho cambiato parere”. Questa frase ha scatenato il mondo della musica e pochi giorni dopo il famoso rappista Didier Awadi lanciava il suo nuovo brano “Ma waxoon, waxeet” in cui con molta ironia mischia le ormai famose parole del presidente con quelle dell’opposizione che gli implora di andare via, diventando così l’inno dell’ M23.
Didier Awadi non è il solo artista a schierarsi apertamente contro il presidente. Più di tutti è il movimento “Y’en a marre” (‘Siamo stufi’) che costituisce l’opposizione a Wade. Nato nel gennaio 2011 a Dakar dall’idea di due artisti rap, Thiat e Kilifeu, parte del gruppo Keur Gui si è posto l’obiettivo di mobilitare soprattutto i giovani, in vista di un vero cambiamento. Da allora hanno attraversato il paese in lungo e largo incitando i giovani all’impegno civile e all’iscrizione alle liste elettorali per far concretamente pesare la propria voce. Ed è stato un enorme successo.
L’ultimo in ordine di tempo è Youssou N’Dour che alla fine di lunghe smentite, ha proclamato pubblicamente lo scorso 4 gennaio la volontà di presentarsi a candidato premier. Già nel 2009, Ndour aveva creato un movimento dal nome “Fekke maci bole” (“sono un testimone, quindi m’impegno”). Dalla sua N’Dour può contare sulla propria popolarità sia in qualità di cantante che di imprenditore, oltre che al supporto dei media da lui stesso creati e fra i più popolari: il canale tv TFM, la radio RFM e il quotidiano “L’Observateur”. Autodefinitosi “l’alternanza all’alternanza” (con riferimento al motto di Wade alle elezioni del 2000), il suo programma di governo si sintetizza in “priorità ad educazione, salute agricoltura”, a cui si aggiunge la promessa, cara a tutti i candidati degli ultimi 40 anni, di trovare una soluzione allo statuto della Casamance.
Sebbene sicuro della propria elezione sin dal primo turno, il risultato è tutt’altro che scontato. Oltre a Wade, sono una ventina i candidati alla presidenza, tra cui Abdou Latif Coulibaly, giornalista e direttore del settimanale “La gazette”, leader del movimento indipendente Benno Alternative 2012; Ousmane Tanor Dieng, leader del Partito Socialista (PS) e della coalizione Benno ak Tanor; e Moustapha Niasse del partito Benno Siggil Sénégal.
MARIA SERRENTI, CSAS – Centro Studi Africani in Sardegna
FONTI: Rfi – Jeune Afrique – BBC – Reuters Africa – Le figaro