Rosarno verso Italia: le arance che non hanno il gusto dello sfruttamento

Posted on 18 Gen 2012


Siamo i lavoratori che ogni mattina si alzano alle 5 e vanno raccogliere nei campi il vostro cibo.Viviamo nascosti in luoghi che chiamare casa è un insulto. Nostra compagna di vita è la paura. Paura dei caporali, che ogni mattina ci vengono a prendere e decidono chi lavora e chi no. Paura del lavoro perché dopo 10 ore se ci va bene ci troviamo in tasca 15 o 20 euro, se ci va male una pistola puntata. Paura dei padroni che ci trattano come bestie. Paura delle forze dell’ordine perché non abbiamo documenti. Paura della paura, perché siamo invisibili. Perché non possiamo denunciare i nostri sfruttatori. Se camminiamo per strada dobbiamo stare attenti a chi ci fa del male e a chi dovrebbe tutelarci. Siamo nemici per tutti.”

Dalla lettera ai Ministri delle Politiche Agricole, dell’Interno, del Lavoro, per la Cooperazione Internazionale


Noi siamo persone come voi. Vogliamo lavorare per vivere, come voi. Siamo in difficoltà quando non c’è lavoro, come voi. Emigriamo per trovare lavoro come tanti di voi in passato e ancora oggi. Abbiamo famiglie, madri, fratelli, figli, come voi. Siamo qui per cercare una vita migliore, non per creare problemi. […]Per questo vi diciamo che non dovete avere paura di noi. L’emigrazione è una risorsa, economica, culturale… un’occasione di cui approfittare, noi e voi. Chi in questi giorni ha parlato di noi diffondendo la paura è responsabile per le sue parole. Noi non ci riconosciamo in quello che si è detto su di noi. Se qualcuno tra noi sbaglia, fa soffrire noi più di voi. Ma non vuol dire che tutti sbagliamo. […]Noi siamo fieri del nostro impegno e del nostro sudore. Abbiamo bisogno gli uni degli altri. Allora noi dobbiamo parlarci, capirci e insieme riuscire ad andare avanti. Purtroppo le nostre condizioni di vita non ci permettono di farlo. Dopo una giornata di lavoro nei campi, abbiamo solo il tempo per fare un pò di spesa e telefonare a casa e poi camminare a lungo fino ai luoghi in cui dormiamo. Noi stiamo nelle case abbandonate, senza luce né acqua. E’  una vita molto dura, ogni giorno.”

Dalla lettera ai cittadini di Rosarno


A due anni dalla rivolta i lavoratori africani di Rosarno riportano l’attenzione sulla loro presenza nelle campagne permettendo una riflessione sulle condizioni dei migranti e sulla dignità e i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici in Italia. Quello che accade nella Piana di Gioia Tauro svela i retroscena dell’agro-businnes e delinea le responsabilità dello Stato che, affrontando l’immigrazione con gli strumenti dell’emergenza umanitaria, fà dello sfruttamento dei lavoratori e della mancanza di politiche sociali il cardine dell’economia.

In seguito all’esplosione della rabbia causata dal violento controllo della ‘ndrangheta sul loro lavoro, i braccianti africani hanno iniziato ad organizzarsi sapendo coinvolgere, dal sud al nord d’Italia, diverse realtà quali centri sociali, gruppi di acquisto solidale, sindacati ed associazioni in lotta per la sovranità alimentare e in difesa della terra e dell’agricoltura contadina. Dopo lo sciopero delle rotonde che nell’ottobre 2010 ha riguardato i braccianti stranieri dei terreni tra Caserta e Napoli e lo “sciopero contro il caporalato a Nardò”, in Puglia, durato oltre una settimana dell’agosto 2011, i lavoratori hanno intrapreso un percorso che coniuga la salvaguardia del territorio, le istanze della piccola agricoltura e quelle dei braccianti.

Nella Piana inoltre anche alcuni piccoli produttori hanno iniziato ad assumere in regola i braccianti e, talvolta, ad innescare circuiti di solidarietà e reciproca conoscenza utili a scardinare la retorica del razzismo che nasconde le reali responsabilità di questa situazione.
Anche i ragazzi deportati dopo la rivolta, e abbandonati a Roma, si sono costituiti in assemblea permanente, dando vita a progetti di microreddito e ottenendo dopo lunghe battaglie il permesso di soggiorno.

Ed è proprio nella capitale italiana che questo fine settimana i “lavoratori africani, cittadini del mondo, in Italia” si sono incontrati per lottare contro l’imposizione della clandestinità e in difesa dell’agricoltura fondata sul rispetto della terra e dei suoi abitanti.

Venerdì 13 gennaio si è tenuto un primo presidio davanti al ministero dell’Agricoltura e un secondo vicino al ministero dell’Interno per chiedere un’altra politica verso i lavoratori immigrati. Nello specifico le richieste sono state:

tutela legale e permesso di soggiorno per i lavoratori che denunciano i loro sfruttatori, così come previsto per le donne vittime di tratta;

abolizione della Legge Bossi-Fini e una radicale revisione della normativa in materia di immigrazione;

sanatoria per gli immigrati presenti sul territorio nazionale;

la garanzia di un’accoglienza dignitosa per i lavoratori stagionali;

un sistema di collocamento pubblico in agricoltura che consenta di smantellare il caporalato;

l’instaurazione di indici di congruità che verifichino il rapporto tra fatturato e manodopera impiegata;

l’inserimento nei disciplinari di produzione (doc, dop, igp, bio..) di criteri che valutino il rispetto dei diritti dei lavoratori pena il decadimento.


Due importanti opere testimoniano le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori africani di Rosarno, la rivolta del gennaio 2010 e le conseguenze di quegli episodi per i lavoratori africani, per Rosarno e l’Italia intera.

– Il libro di Antonello Mangano “Gli africani salveranno Rosarno. E, probabilmente, anche l`Italia”, di cui è comparsa nei primi giorni del 2012 una  seconda edizione aggiornata edita da  terrelibere.org di Catania.

– Il film Il sangue verde”, di Andrea Segre – Za Lab, che racconta Rosarno attraverso i volti e le parole dei braccianti africani che hanno lottato contro lo sfruttamento e la mafia. Qui il trailer .


MARIA GIOVANNA CASU, laureata in antropologia all’Università Sapienza di Roma

Per saperne di più: Equosud |  Osservatorio migranti africalabria.org | 6antirazzista

Foto di Maria Giovanna Casu