Se le questioni che hanno fatto insorgere la Tunisia tra il 17 dicembre 2010 e il 14 gennaio 2011 sono chiare e hanno riscosso l’unanimità in un paese che affondava sotto il peso di un dittatore e della sua banda di mafiosi, all’indomani del 14 gennaio si è aperto un dibattito sul contenuto da dare al nuovo regime che tutti reclamano.
In effetti, coloro che hanno costretto alla fuga Ben Ali non erano organizzati e non erano guidati da alcun partito o sindacato. Non c’era nessuna ideologia a dominare il movimento né un programma politico, né un’alternativa a ciò che era divenuta la politica mafiosa di Ben Ali. In compenso, sapevano ciò che rifiutavano e ciò che volevano.
Così, la seconda manche della partita è cominciata dopo la partenza di Ben Ali: era necessario far cadere un governo che era là per salvaguardare il regime dietro la finzione dell’unità nazionale. Quindi, persone dell’Ovest, del Centro, del Sud, hanno marciato su Tunisi in una carovana chiamata dapprima carovana della dignità, poi carovana della libertà. Sono venuti ad accamparsi davanti alla sede del governo e sono riusciti a farlo cadere dopo sei giorni, sostenuti dai compagni di Tunisi e di tutte le regioni venuti ad ondate per affermare che: NO, non è ancora cambiato niente, e poiché ora abbiamo dei morti uccisi dai proiettili della polizia, non ci fermeremo ad un punto così importante. Nondimeno, sono partiti, cacciati da una repressione selvaggia di cui nessuno, al governo, ha voluto assumersi la responsabilità. Il nuovissimo ministro dell’Interno ha fatto così intendere che la polizia avesse agito di propria iniziativa! Inoltre, quattro giorni dopo quel venerdì 28 gennaio, lo stesso ministro dell’Interno ha raccontato, in una rete televisiva privata, di un complotto sventato condotto da parte di circa 2000-3000 individui armati che avrebbero attaccato l’edificio del ministero dell’interno situato nel viale più grande di Tunisi! Questi avrebbero aggredito gli impiegati e sarebbero penetrati nel suo ufficio, minacciandolo di morte, rubandogli il telefono cellulare e rompendogli gli occhiali! Sarebbe sfuggito alle loro mani omicide solo grazie al generale Ammar che in quel momento era con lui nel suo ufficio, per una fortunata coincidenza! La Tunisia è rimasta sbalordita davanti ad un racconto talmente inverosimile.
Eccoci dunque in questa tappa in cui siamo governati da degli sconosciuti senza etichetta politica, capeggiati da un Presidente e un Primo Ministro dell’RCD [1] , che fa dei passi positivi come la ratifica della convenzione internazionale contro la pena di morte e di quella contro la tortura. Ma allo stesso tempo, questo governo nomina 19 governatori di regione su 24 appartenenti al RCD. D’altronde, appena arrivati costoro sono stati cacciati all’istante dalla popolazione.Le manifestazioni nel paese non sono finite, represse con proiettili veri dalla polizia. La novità è che, dopo gli omicidi, i poliziotti sono stati richiamati dal loro ministro. Le milizie dello stesso RCD sono sempre presenti, hanno infierito durante i raduni davanti alla sede del governo, sono presenti in tutte le manifestazioni. A ciò bisogna aggiungere l’esercito degli sbirri in borghese che si riconoscono per la loro corporatura e per gli sguardi penetranti.
Allo stesso modo, si moltiplicano gli scioperi sempre con un imperativo primario: sgomberare i responsabili marci e i leccapiedi piazzati dal regime di Ben Ali. Dopo vengono le rivendicazioni personali. Persino l’UGTT, il grande e unico sindacato nazionale non sfugge alla pulizia. Delle manifestazioni di sindacalisti si sono tenute per chiedere che il segretario generale del sindacato e i suoi accoliti se ne andassero.
Domenica 6 febbraio, il governo ha annunciato la sospensione del RCD e il suo prossimo scioglimento. Oggi, una manifestazione davanti al Parlamento chiede lo scioglimento della Camera dei Deputati dopo che il Primo ministro ha loro domandato di votare un articolo della Costituzione che dia al Presidente ad interim il potere di governare per decreti-legge… I deputati non sono nemmeno potuti entrare nel Parlamento.
Ecco, la lotta continua e il contenuto di ciò che sta diventando una rivoluzione viene disegnato dal volere del popolo. Uno degli slogan di queste giornate di gennaio è stato “popolo, libertà, dignità nazionale” e abbiamo cantato ad ogni raduno, ad ogni marcia, sempre senza stancarci, il poema di un grande poeta del sud e che è diventato il nostro inno nazionale:
«Se il popolo un giorno vuole la vita
É necessario che il destino vi si pieghi
Che la notte diventi luce
E che le catene siano spezzate».
HOUDA BEN GHACHAM, Università di Tunisi
Tunisi, 7 febbraio 2011
[1] RCD, Rassemblement Constitutionnel Démocratique. É il partito dell’ex-Presidente Ben Ali.
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HOUDA BEN GHACHAM è una traduttrice e redattrice tunisina. Ha ottenuto una laurea in traduzione e un master in Scienze Sociali all’Università Lyon-Lumière, in seguito si è specializzata in Letteratura francese all’Università Paris Nord. Ha insegnato francese e arabo in vari licei e università della Francia. È sua la traduzione dall’arabo del romanzo “Zina, le roman volé” della scrittrice egiziana Nawal El-Saadawi. Attualmente insegna Letteratura francese all’Università di Tunisi (9 Avril).
Traduzione dal francese: MANUELA DEIANA, CSAS- Centro Studi Africani in Sardegna
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