Il mese scorso, nel fornirvi un ritratto di Ellen Johnson Sirleaf, avevamo accennato alle elezioni svoltesi a pochi giorni di distanza dall’annuncio del premio Nobel per la Pace. Il primo turno delle elezioni si era concluso con un netto vantaggio (43,9% dei voti) per la presidente uscente, non sufficiente, tuttavia, a evitare il ballottaggio con il secondo arrivato, Winston Tubman (32,7% delle preferenze).
Tubman, che ha studiato nelle migliori università del mondo, è stato funzionario delle Nazioni Unite ed è nipote di un ex presidente, si era già presentato alle elezioni del 2005, arrivando quarto con un misero 9,2% dei voti. Per guadagnare maggiore popolarità, questa volta aveva stretto un accordo – assicurandogli la vicepresidenza in caso di vittoria – con il famoso calciatore George Weah, che pure aveva partecipato alle elezioni del 2005, arrivando in testa al primo turno ma perdendo al ballottaggio contro la Sirleaf.
All’indomani della diffusione dei risultati del primo turno, Tubman aveva già accusato la presidente uscente di brogli elettorali, minacciato di non partecipare al ballottaggio. Il 2 novembre, dopo aver ottenuto le dimissioni del presidente della Commissione Elettorale, Tubman annunciava che avrebbe partecipato al ballottaggio, pur continuando nei giorni successivi a minacciare di tornare sui suoi passi. Nel frattempo, la presidente uscente aveva continuato a fare campagna elettorale, ottenendo anche il sostegno di Prince Johnson, arrivato terzo alle elezioni di ottobre. A tre giorni dal voto, Tubman ha definitivamente confermato il boicottaggio, e successivamente ha convocato una manifestazione di protesta alla vigilia delle elezioni, volta a convincere i cittadini a non andare a votare l’indomani.
La manifestazione – non autorizzata, dato che la campagna elettorale doveva chiudersi domenica – è degenerata quando la polizia e i caschi blu delle Nazioni Unite hanno cercato di impedire alle centinaia di supporters di Tubman, riunitisi davanti alla sede del partito, di sfilare per le strade. In risposta ai lanci di pietre da parte dei manifestanti, la polizia non si è limitata ai lacrimogeni, ma ha anche sparato, lasciando – a quanto risulta – tre morti sul terreno. Successivamente, sono state chiuse alcune radio che esprimevano posizioni vicine a Tubman.
Martedì, tra la paura per possibili violenze e la consapevolezza di non avere alcuna influenza sull’esito del voto, essendo rimasta in corsa solo una candidata, molti liberiani non si sono neppure presentati alle urne. Invece delle lunghe code viste solo un mese fa, davanti ai seggi si incontravano solo poche persone: i risultati preliminari parlano di un’affluenza attorno al 37%, contro il 72% del primo turno. Tra l’altro, Tubman, nonostante il boicottaggio, ha ottenuto circa il 9% dei voti di coloro che si sono recati comunque alle urne. Ad ogni modo, Ellen Johnson Sirleaf sarà ancora presidente – guadagnando così anche il titolo di prima donna africana ad essere rieletta, e spostando l’asticella del record al terzo mandato, una missione quasi impossibile – ma la sua posizione risulta oltremodo indebolita. Infatti, i suoi detrattori potranno sempre rinfacciarle che la maggior parte della popolazione non ha votato per lei: né al primo, né tantomeno al secondo turno.
E questo, secondo alcuni analisti, era proprio l’obiettivo ultimo di Tubman: consapevole di non poter recuperare lo svantaggio, specie dopo che Johnson si era schierato con la sua sfidante, potrebbe aver puntato tutto sulla delegittimazione dell’avversaria. Una strategia pericolosa, soprattutto in un paese come la Liberia, che avrebbe bisogno più di ogni altra cosa di lasciare da parte le divisioni per occuparsi dei problemi che lo affliggono.
ANNALISA ADDIS, CSAS – Centro Studi Africani in Sardegna
Per maggiori informazioni: All Africa |BBC | Jeune Afrique |Il Post