Per un nuovo orientamento: i documentari La quarta via e Aulò

Posted on 12 Set 2012


Dagaal nin aan aqoon baa ku orda. Af qoyani hadal ma daayo. Hadal badan haan ma buuxsho.

Confusi? O, per meglio dire, disorientati? L’esperienza di leggere queste espressioni somale senza traduzione suggerisce che il linguaggio è sicuramente uno dei mezzi che usiamo per orientarci in uno spazio. Sentire espressioni somale in un testo italiano non è solo inusuale, ma anche disorientante.

Proviamo ora ad immaginare che Mogadiscio non si trovi affacciata sull’Oceano Indiano ma sul Ticino, nel nord Italia, più precisamente a Pavia. Immaginiamo che a dircelo sia una scrittrice italiana di origine somala, che rivive le memorie della sua città natale nel luogo in cui vive. E pensiamo anche ad una scrittrice romana che dice di avere tre radici: eritrea, italiana e francese. Questa esperienza può forse spiazzare, ma mai quanto quella di leggere un testo in cui la lingua italiana si incontri con l’aulò, la forma poetica tradizionale dell’Eritrea.

Quanto può essere disorientante sentire due intellettuali di origine africana parlare dell’Italia in italiano? Non so rispondere a questa domanda. Certo so che le due persone in questione, Kaha Mohamed Aden e Ribka Sibhatu, protagoniste rispettivamente dei documentari La quarta via e Aulò scritti dalle due autrici con Simone Brioni e diretti dallo stesso Brioni con Graziano Chiscuzzu e Ermanno Guida, non sembrano affatto disorientate di fronte a tale compito. In queste due opere vengono raccontate le vicende di due scrittrici costrette ad emigrare dai loro paesi d’origine, la Somalia e l’Eritrea, ed approdate in Italia anche a causa della presenza coloniale fascista nel corno d’Africa. Le conseguenze della storia hanno quindi sottratto loro l’ambiente in cui sono nate e cresciute, che le due scrittrici cercano di rivivere ora nelle città in cui si devono orientare: Pavia e Roma. In questi documentari, Kaha e Ribka ci raccontano la storia e la cultura dei loro paesi d’origine e parlano della difficoltà di vivere in Italia per gli immigrati.

Kaha Mohamed Aden, protagonista de La quarta via, ricorda attraverso i luoghi di Pavia la sua terra d’origine, trovando nella città italiana quei tratti che la uniscono idealmente alla capitale somala. Kaha riconosce nella storia di Mogadiscio quattro principali momenti storici, rappresentati da quattro vie: parlando sulla riva del Ticino, luogo di comunicazione e di commercio, la scrittrice ci racconta della prima via di Mogadiscio, rappresentata dalla città antica, dove edifici bianchi indicavano un passato di fiorenti commerci e scambi culturali legati ad una tradizione islamica; la seconda, raccontata di fronte all’edificio della prefettura di Pavia di architettura fascista, indica il periodo coloniale italiano, con il suo bagaglio di ideologia fascista, che, nonostante la sua violenza, non è riuscito a sopprimere l’identità somala, anche se ne ha comunque cambiato radicalmente l’aspetto; la terza via, raccontata nei cortili dell’università di Pavia, indica la rinascita e la presa di coscienza del popolo somalo che, trascinato da ideali socialisti, ha cercato di ricostruire un nuovo senso d’identità nell’indipendenza, avviando riforme e scolarizzazione, il tutto però vanificato dalla dittatura di Mohammed Siyad Barre; infine la quarta via, la più tragica, non ha immagini paragonabili in Italia, in quanto Mogadiscio è stata distrutta da una guerra civile che non sembra avere fine.

La tragicità della situazione odierna è data senza dubbio dalla violenza e dalla distruzione. A rendere il tutto ancora più sconfortante è il totale sradicamento di una città da condividere pacificamente, poiché Mogadiscio è ora teatro di uno scontro tra clan, ognuno dei quali inteso ad imporre le proprie idee identitarie, invece che mettere in luce i tratti comuni. In questo documentario, tratto dall’omonima performance orale, Kaha ci trascina dal panorama di Pavia verso un luogo che è lontano non solamente nello spazio, ma anche nel tempo. Infatti risulta disorientante apprendere cose che sono state cancellate dalla memoria collettiva, dato che pochi dei nostri connazionali rammentano un’Italia violenta, un’Italia conquistatrice. Il racconto, fondendo tra loro scenari ‘familiari’ e ‘stranieri’, scuote l’orientamento che si costruisce nel nostro luogo natale, un orientamento fragile al quale non si pensa mai davvero, in quanto è avvenuto in maniera più automatica che cosciente.

Aulò ha invece come protagonista la scrittrice di origini eritree Ribka Sibhatu, la quale, riprendendo la tradizione del racconto orale del suo paese, ci racconta anch’essa la sua storia e la nostra. L’aulò è una forma di poesia  utilizzata da secoli dai poeti eritrei e la sua peculiarità è l’influenza che riusciva ad esercitare all’interno della comunità, avendo infatti anche valore politico. Anche in questo documentario abbiamo una testimonianza di prima mano di una persona costretta a fuggire dal suo paese e quindi alla ricerca di un orientamento in un paese straniero. Ribka Sibhatu è infatti stata incarcerata in Eritrea per essersi rifiutata di sposare un alto funzionario del luogo, si è quindi rifugiata in Etiopia per alcuni anni per poi trasferirsi in Francia. Lì ha ottenuto la residenza ed è infine approdata in Italia. Con il racconto degli aulò la scrittrice eritrea vuole proporci un recupero ed una rilettura del passato nell’unica maniera che le si dovrebbe confare e cioè quella costruttiva, in contrasto, ad esempio, con la maniera distruttiva dell’abuso della memoria come avviene nell’odierna Somalia.

L’accostamento tra la presenza di Ribka ed alcuni simboli di Roma familiari ai più, creano un cortocircuito orientativo. Per esempio, sulla via Appia antica la scrittrice interpreta alcuni aulò, scagliando lo spettatore in una dimensione spaziotemporale lontana, sradicata dall’hic et nunc della capitale italiana. Questo recupero edificante della memoria storica mostra la possibilità di ottenere un nuovo orientamento che non sia precostituito ma vada al di là delle appartenenze nazionali. Di contro, appaiono senz’altro ‘fuori luogo’ le persone intervistate sulla spiaggia di Ostia, che rivendicano la loro appartenenza territoriale ed identitaria al loro luogo di nascita. Essi, cercando di trovare un orientamento nell’espressione ‘so romano da sette generazioni’, sembrano non essere affatto orientati nella una realtà multiculturale di Roma. Infatti, Roma è rappresentata dalla gente che ci vive, proprio come Ribka, gente che ha trovato per prima cosa un orientamento interno e lo ha poi riflesso sul luogo dove vive.

I due documentari Aulò e La quarta via mostrano come sia indispensabile superare facili classificazioni identitarie e tassonomiche di tipo geografico, ed elaborare un concetto di orientamento individuale, che porti ad una rivalutazione in ambito globale della cittadinanza. In altre parole, Kaha e Ribka sembrano suggerire di concentrarsi su ciò che si può condividere in quanto abitanti di uno stesso luogo nel presente, piuttosto che sui diritti acquisiti esclusivamente tramite il sangue. L’orientamento, ci dicono, deve fuggire quei ‘luoghi comuni’ che conferiscono un riconoscimento e un’appartenenza immediata, in cui ci si identifica spesso aprioristicamente.

A tal proposito meritano una menzione speciale le colonne sonore originali di entrambi i lavori. Nel caso de La quarta via Giovanni Ferliga ha creato uno spazio sonoro elettronico assolutamente straniante, che riporta ad una dimensione al di là dello spazio urbano di Pavia e di quello evocato di Mogadiscio. In Aulò, le musiche di Edoardo Chiaf e Gabriele Mitelli, ispirate all’Ethio-jazz di Mulatu Astaske, accompagnano le riprese di una Roma ‘africanizzata’ che si alternano a fotografie dell’architettura italiana ad Asmara del fotografo tedesco Stefan Boness, creando una situazione di totale spaesamento. O sarebbe forse il caso di parlare di un nuovo orientamento?

La data scelta dalla Kimerafilm per distribuire i due documentari, allegati a due volumi bilingue (tutti i contributi sono stati tradotti in inglese) dal titolo Somalitalia e Aulò! Aulò! Aulò! Poesie di nostalgia, d’esilio e d’amore di Ribka Sibhatu, è il 16 settembre. Questa data è stata scelta per ricordare il giorno in cui, nel 1931 fu ucciso il condottiero senussita libico Omar al-Mukhtar, che guidò la resistenza anticoloniale. La sua vita è ricordata nel film Il leone del deserto (1981) di Moustapha Akkad, un film censurato in Italia fino al 2009 . L’ordine di uccidere Omar al-Mukhtar fu dato dal generale Rodolfo Graziani, uno dei peggiori criminali di guerra nel secondo conflitto mondiale, a cui è stata di recente intitolato un monumento ad Affile, in provincia di Roma. Questa scelta appare appropriata per ‘fare i conti’ con la storia coloniale italiana, su cui vige ancor oggi  – come l’episodio di Affile sembra ancora una volta indicare – una colpevole rimozione storica.

DANYEL GHIDINI