Passeggiando per la città di Tripoli…

Posted on 23 Nov 2010


…la prima meta, la più ambita forse, la medina (la città vecchia) è lì vicino al castello di Tripoli che domina l’antistante piazza Verde. Ed ecco che si apre allo sguardo l’ingresso della bianca medina, artigiani d’oro, d’argento, di rame, vie larghe e strette, patii che si ergono con un primo piano in cui si susseguono angusti ambienti brillanti per l’oro luccicante.

Giovani donne velate accompagnate a donne anziane: forse per l’acquisto dell’abito per il giorno delle nozze o ancor meglio di gioielli?

Non mancano certo gli anziani, uomini con il loro costume seduti su un basso muretto, impegnati ad osservare e a far passare il tempo, pronti, nel caso, a scambiare due parole, a comunicare in lingua italiana, perché loro hanno “conosciuto gli italiani”.

Magari alcuni figli hanno frequentato anche le Università nostrane e poi sono andati via dalla Libia perché “fuori stanno meglio” e hanno messo su famiglia con una donna musulmana: “non sarebbe una buona cosa” altrimenti.

Una chiesa cristiana, ma non è cattolica, è stata trasformata dagli inglesi quando hanno sconfitto gli italiani ed è iniziata l’amministrazione militare britannica. Quella cattolica, l’unica, è la chiesa di San Francesco.

La vecchia sede del Banco di Roma, costruita durante il secondo periodo del dominio dell’Impero Ottomano (1835-1911), insediata per cementare i rapporti  commerciali fra l’Italia e la “Libia”, è una deliziosa costruzione con i balconi in ferro battuto. Fra le moschee spicca la Gurgi con tante scarpe maschili sparpagliate qua e là, la Zawiya con uno splendido portone verde.

Il cimitero dei Karamanli recintato da eleganti inferriate verdi con le punte nere bordate d’oro, è veramente suggestivo.

Sia dentro che fuori dalla medina le parabole e le macchine dei motori dei condizionatori sono una costante, non c’è abitazione in cui non svettino. Cammina, osserva, un fascio littorio, un palazzo italiano? un’architettura voluta dal governo fascista per “continuare idealmente” i fasti di Roma imperiale[1]. Palazzi ovaleggianti, balconi in ferro o in pietra, finestre e portali familiari, si respira aria d’Italia e si incontrano molti turisti italiani.

Ancora il Castello di Tripoli… sollevando lo sguardo verso l’alto, nella parte alta del castello salta subito agli occhi un balcone nero in ferro battuto, il balcone fatto inserire da Benito Mussolini per poter meglio dominare dall’alto con le sue arringhe la folla tripolina. C’è qualcosa in comune fra  l’Italia e la Libia, il balcone di Piazza Venezia da una parte e il balcone in ferro battuto dall’altra in quella che oggi si chiama Piazza Verde. Come condividere una memoria così preziosa anche se violenta e brutale?

BIANCA MARIA CARCANGIU, CSAS – Centro Studi Africani in Sardegna


[1] Mia Fuller, Italy’s Colonial Architecture and Urbanism, 1923-1940, Cultural Anthropology, 1988, pp. 455-487.