Michael Sata: un cattolico, anticinese, presidente dello Zambia

Posted on 25 Ott 2011


© AFP

Michael Sata del Fronte Patriottico (PF) ha vinto le elezioni presidenziali dello Zambia del 20 settembre 2011.

Il “Re Cobra” è stato eletto Presidente della Repubblica dopo quattro tentativi falliti. Vecchio uomo navigato della politica zambiana, è stato definito tenace, carismatico, controverso: tre aggettivi che ben caratterizzano la personalità di Sata.

Nato nel 1937, Sata entra in politica negli anni Settanta e fa carriera fino a diventare governatore di Lusaka nel 1985. Molto vicino al primo presidente, padre della patria, Kenneth Kaunda, se ne distacca per unirsi al Movimento per la democrazia multipartitica (MMD) nel 1991, quando furono indette le elezioni multipartitiche, in cui risultò eletto il sindacalista Frederick Chiluba – morto proprio pochi mesi prima di queste ultime elezioni.

Sata ha ricoperto diversi posti ministeriali prima di diventare ministro senza portafoglio, numero tre del governo. Fu nel 2001 che lasciò l’MMD per fondare il suo partito e presentarsi alle elezioni dove registrò un risultato mediocre contro Levy Mwanawasa.

Cinque anni più tardi, nel 2006, si ritrova a fronteggiare il suo avversario, ma perde di nuovo, pur denunciando il trucco delle elezioni conseguenza delle rivolte fra i suoi partigiani e le forze dell’ordine nel cuore della capitale. Dopo la morte del presidente Mwanawasa, nel 2008, Sata è di nuovo battuto alle elezioni da Rupiah Banda. Infine il quarto tentativo è andato a buon fine.

Nell’ultimo confronto elettorale, Sata ha infatti sconfitto Rupiah Banda – il presidente uscente rappresentante del Movimento per la Democrazia in Zambia (MMD) da venti anni al potere. Il nuovo capo dello Stato, settantaquattrenne, ha avuto il 43% delle preferenze. Già i due politici, coetanei, si erano scontrati nella controversa consultazione del 2008, in cui Banda ebbe la meglio per 35mila voti. Anche queste elezioni sono state segnate da tensioni e da scontri soprattutto nella regione settentrionale, ricca di giacimenti di rame, dove i sostenitori di Sata sono scesi in piazza per protestare contro il veto imposto ai media a dare i risultati prima che fossero ufficializzati dalla commissione elettorale.

Banda – diventato presidente nel 2008, con la morte di Levy Mwanawasa, del quale era il vice – si è trovato a guidare lo Zambia in un momento estremamente critico, quando all’inizio del 2009 il crollo del prezzo del rame provocò una fuga di capitali dal Paese e la chiusura di molte miniere, dando un colpo quasi mortale all’economia dello stato africano, principale produttore di rame del continente e uno dei primi dieci al mondo. Fu allora che la Repubblica Popolare Cinese entrò pesantemente sulla scena “economica” del paese, con la gestione e l’acquisto, soprattutto, di miniere, nel territorio del Copperbelt al confine con l’ex Congo belga. Michael Sata è da sempre stato contrario a quella presenza straniera così ingombrante, ma alcuni fatti accaduti proprio pochi giorni prima delle elezioni scossero l’opinione pubblica zambiana e fecero gioco al candidato presidenziale.

In seguito a lamentele da parte dei lavoratori zambiani per le pessime condizioni di lavoro in una miniera di rame dello Zambia, alcuni dirigenti cinesi della miniera usarono le armi da fuoco contro gli stessi lavoratori. Nessun morto, ma 12 feriti. Per Pechino si è trattato solo di “un errore”, non la pensa così l’opinione pubblica zambiana.

I minatori protestarono contro le condizioni disumane di lavoro e contro i bassi salari. Il tribunale locale incriminò i due uomini e Pechino accettò la decisione in nome della “stretta collaborazione” tra i Paesi. Il fatto di cronaca è stato al centro anche dei dibattiti tra i partiti politici di Lusaka. Particolarmente dura la condanna espressa dai dirigenti del Fronte patriottico, una forza che da anni contesta la penetrazione di aziende e capitali stranieri, soprattutto cinesi, nel Paese.

I colpi di pistola sparati dai cinesi sui minatori che chiedevano un aumento salariale ha infiammato il dibattito sullo strapotere cinese, mettendo in seria difficoltà l’ormai ex presidente Rupiah Banda.

Si è, infatti, costituito un fronte molto agguerrito contro Banda: i sindacati, la società civile, i nazionalisti, la chiesa e le organizzazioni giovanili che stanno diventando sempre più presenti nella vita politica dello stato zambiano. Le accuse, ormai ripetute più volte, sono gravi : il presidente ha svenduto il Paese, la sua dignità e la manodopera. Michael Sata prende immediatamente lo spunto per attaccare il suo avversario: “Ormai è chiaro che questo governo non ci protegge perché è stato pesantemente corrotto dai cinesi in vista delle elezioni del 2011“. Le insinuazioni sono pesanti, ma forse corrispondono alla verità. Sata, presentatosi agli elettori come il paladino della lotta contro la povertà, aveva posto al centro del suo programma politico, una più equa distribuzione dei proventi dell’export del rame e il ritorno all’imposizione fiscale del 25 per cento sulle compagnie minerarie, che era stata abolita nel 2009 da Banda. Parlare dunque di lotta contro le disuguaglianze è stata la carta vincente, sebbene Banda vantasse successi nella modernizzazione del Paese con grandi stanziamenti nelle infrastrutture. Pure le critiche agli investimenti cinesi – che nel 2010 hanno superato l’equivalente di 2 miliardi di euro – e alle condizioni di lavoro imposte da quelle società sono state recepite. Non era forse del tutto infondato il sospetto che la campagna elettorale di Banda avesse avuto un sostegno generoso da Pechino.

Già durante la sua campagna elettorale Sata ha assicurato che, in caso di vittoria, avrebbe trasformato il paese in 90 giorni. «Meno imposte e più danaro nelle vostre tasche», ha continuato a ripetere durante i suoi incontri dove affluivano gli zambiani più sfavoriti che hanno visto in lui un salvatore. Più della metà della popolazione ha meno di venti anni e vive con meno di due dollari al giorno.

Curiosamente il simbolo del “Re Cobra” è stata una sorta di Arca di Noé, su cui gli zambiani erano invitati a rifugiarsi per sfuggire alla povertà e al sottosviluppo.

BIANCA MARIA CARCANGIU, CSAS – Centro Studi Africani in Sardegna


Fonti – per saperne di più: