La svolta egiziana: lavori in corso

Posted on 11 Gen 2012


A quasi un anno di distanza dalla caduta del suo ex Presidente, l’Egitto si prepara alla nascita del nuovo Parlamento che dovrà redigere la prima Costituzione del dopo Mubarak.

Nei giorni scorsi si è svolta la tornata conclusiva per la nomina di 498 dei 508 parlamentari dell’Assemblea del Popolo, la Camera Bassa del Parlamento (i restanti dieci saranno nominati dal Presidente).

Il processo elettorale è piuttosto contorto, infatti, a causa del numero insufficiente di giudici chiamati a presiedere i seggi, prevede che i 27 governatorati votino in tre diversi periodi. A questo si aggiungono le difficoltà di gestire un sistema di voto misto, proporzionale per il 60% (322 deputati nominati tramite la scelta del solo partito) e uninominale per il 40% (166 deputati nominati tramite la scelta di due candidati tra quelli in lizza), con eventuale ballottaggio una settimana dopo il voto in caso di mancato risultato immediato. Altre regole prevedono controlli per garantire che il 50% dei candidati per l’uninominale siano agricoltori e operai e che le liste dei partiti comprendano almeno una donna.

In lizza per l’Assemblea circa 50 partiti costituiti dai rappresentanti del vecchio regime, dai liberali e laici raggruppati nel Blocco Egiziano e dalle formazioni di orientamento islamico. Dopo i primi due turni (28 novembre e 14 dicembre), i partiti a sfondo religioso hanno registrato una schiacciante vittoria. Il primato del Partito Libertà e Giustizia, ala politica dei Fratelli Musulmani, è dovuto soprattutto alla decisione di adottare una posizione più vicina all’Occidente e alla scelta, in caso di vittoria, di formare un governo di coalizione con i partiti liberali piuttosto che con il  Partito Salafita al-Nūr, posizionatosi secondo. Quest’ultimo, infatti, è considerato più estremista e promotore dell’applicazione integrale della legge islamica. Il raggruppamento liberale, il protagonista più importante delle rivolte che hanno portato alla caduta di Mubarak, si è posizionato in coda.

Il voto del 4 e 5 gennaio (il ballottaggio del 10) potrebbe cambiare parzialmente i risultati ottenuti. Nell’ultima tornata, infatti, sono stati chiamati alle urne alcuni dei governatorati più popolosi e buona parte della popolazione copta. Tuttavia, sebbene gli elettori copti possano determinare un indebolimento dei partiti per ora in testa, gli islamici continuano ad essere visti come la vera alternativa del Paese fin dalla caduta di Mubarak.

Il rappresentante dei Fratelli Musulmani, Mohamed Elbeltagy, non ha mancato di rassicurare il Paese su una eventuale vittoria di Giustizia e Libertà: “Questo Parlamento seguirà i principi che hanno ispirato la rivoluzione, garantendo libertà e la fine della legge di emergenza e del potere militare. Per garantire il processo democratico c’impegneremo affinché l’elezione presidenziale conduca verso la fine del potere dell’esercito”.

I risultati finali sono previsti per il 20 gennaio e, tre giorni dopo, l’Assemblea dovrebbe riunirsi per la prima volta.

Ma l’Egitto è ancora lontano dalla formazione del nuovo entourage che dovrà guidare il Paese. Infatti, all’elezione dei deputati seguirà quella dei senatori (la Camera Alta del Parlamento) tramite tre tornate che si svolgeranno nel periodo compreso tra il 29 gennaio e il 4 marzo. Una volta redatta la Costituzione, sarà il turno delle presidenziali (attese per fine giugno), dopo le quali l’esercito dovrà finalmente trasferire le redini al potere civile costituitosi.

Per quanto l’Egitto sia arrivato ad una svolta storica importante dove i cittadini possono liberamente decidere il futuro dello Stato, sussiste un clima di tensione tra civili e militari. Da fine novembre gli egiziani protestano per la nomina di Kamal al-Ganzuri (ex Primo Ministro dell’epoca Mubarak) a capo del Governo, voluta del Consiglio Supremo delle Forze Armate che detiene il potere dal momento in cui l’ex Presidente è stato rovesciato. A metà dicembre la situazione è peggiorata e Piazza Tahrir è ricaduta nel sangue: gli scontri tra manifestanti e forze armate hanno provocato alcuni morti e numerosi feriti. I disordini sono continuati nei giorni successivi e, mentre i manifestanti denunciavano l’uso eccessivo della forza da parte dei militari e chiedevano giustizia contro i responsabili delle violenze, le forze armate si sono affrettate a giustificare quanto avvenuto come adozione di normali procedure (senza l’uso di armi) per fermare alcune presunte frange di resistenza intenzionate a bloccare il processo di cambiamento del Paese.

Intanto, dal 2 gennaio, è ripreso il processo contro Mubarak che, per via delle sue condizioni di salute, è detenuto in un ospedale militare del Cairo. L’ex Presidente è accusato di non aver agito, durante le manifestazioni del 2011, per impedire la sparatoria sulle folle che ha provocato la morte di 850 persone. Ritenuto colpevole dai magistrati, per lui è stata chiesta la condanna a morte tramite impiccagione. Stessa sorte riguarda anche l’ex ministro dell’interno Habib El Adly (responsabile di aver dato ordine di bloccare i manifestanti con qualsiasi mezzo) e sei alti membri della polizia. Sugli imputati ricade, tra le altre, l’accusa di corruzione, reato per il quale sono incriminati anche i due figli dell’ ex Presidente.

MARCELLA TRAMATZU, CSAS Centro Studi Africani in Sardegna


FONTI:  Corriere della Sera | La Stampa | AnsaMed | La Presse | World Observer