La rivoluzione libica. Dall’insurrezione di Bengasi alla morte di Gheddafi di Farid Adly

Posted on 8 Nov 2012


“Il regime ha fatto cadere la maschera dell’ipocrisia e si è svelato agli occhi del mondo intero per quel che era: un regno dittatoriale sanguinario. E con la caduta di quella maschera si è messo sul piano inclinato per finire nella pattumiera della storia”

Un’attenta ricostruzione delle vicende libiche partendo dalla scintilla che dato fuoco alla rivolta, l’arresto dell’avvocato delle famiglie delle vittime della strage del 1996 nel carcere di Abu Selim (carcere del quale “in Libia, tutti raccontavano aneddoti e storie al limite dell’impossibile”) che ha favorito le manifestazioni di protesta sfociate nella “Giornata della Collera” del 17 febbraio 2011.

Il terreno era già pronto da tempo e le manovre di Saif al Islam (come la Libya Al-GhadLibia Domani– che prevedeva come pilastri Allah e Islam, sicurezza e stabilità del Paese, unità della Libia e Muammar Gheddafi) per cercare di cambiare l’immagine del Paese e trovare consensi, non sono riuscite a fermare quella contestazione ancora silenziosa ma, anzi, avendo disatteso le promesse in termini di maggiore diffusione di libertà e diritti, hanno contribuito alla caduta del regime.  

Il popolo, infatti, era ormai stanco della dittatura di Gheddafi: “un giovane militante combattivo ai tempi delle scuole superiori” che era salito al potere e aveva trovato il sostegno dei libici denunciando la corruzione della monarchia. L’autore ripensa al sostegno e alla fiducia accordatagli: “se avessimo saputo quel che ci nascondevano i miliari saliti al potere, non saremo certo scesi a manifestare a loro favore”.

Hanno favorito la formazione del dissenso anche le “storielle su Gheddafi” e le sue pratiche poco consone come l’uso di condannare innocenti per terrorizzare il popolo, le torture, gli atti di persecuzione contro gli oppositori all’estero (come contro gli esuli libici in Italia negli anni Ottanta): “ufficiali dell’esercito, studenti, commercianti, imam, lavoratori, contadini, uomini d’affari, sindacalisti e giornalisti, scrittori e donne colte, tutti hanno pagato un alto prezzo per il semplice fatto di non aver obbedito all’ordine del silenzio”.

Quel potere “che è stato mantenuto con una pratica che usava il bastone e la carota: la ricchezza petrolifera per comperare le coscienze, e la repressione criminale per piegare e tagliare le gambe a chi non si arrendeva”, è rimasto spiazzato il 17 febbraio quando i gruppi di opposizione all’estero e i giovani si sono uniti e mobilitati, grazie anche ai nuovi mezzi di comunicazione che “hanno creato una piazza virtuale che connetteva l’interno del paese con la realtà della diaspora libica”.

Le manovre controrivoluzionarie adottate dal regime, come quella di portare in strada studenti, giovani e balordi per manifestare a favore di Gheddafi, o l’uso della compagnia telefonica mobile  per mandare messaggi ai clienti e sconsigliare loro la partecipazione alle proteste, non hanno raggiunto i risultati attesi. La gente comune si è schierata con i manifestanti e anche gran parte dei militari dell’esercito “si sono messi a disposizione per l’organizzazione della difesa della libertà conquistata”.

È stata soprattutto una rivoluzione dei giovani libici (“quelli che hanno subito maggiormente gli effetti devastanti del gheddafismo. Sono stati sottoposti a un lavaggio del cervello sui banchi di scuola e poi, una volta adulti, chi ha scelto di non vendere l’anima al potere ha dovuto soffrire disoccupazione e povertà”) imprigionati tra oppressione e privazioni, ma non solo di essi perché “è la società civile libica, per tanti anni repressa che si è svegliata: avvocati, giudici, professionisti e commercianti, lavoratori e impiegati, che hanno alzato la testa e hanno detto basta alle angherie del dittatore”.

Un processo irreversibile di cambiamento che, come dice l’autore, non sarà né breve né facile ma che rappresenta una svolta storica importante perché “per la prima volta nella storia del Paese, i libici hanno il destino nelle proprie mani”.

“La marcia delle mille miglia si comincia con un passo”

 MARCELLA TRAMATZU | AFFRICA – CSAS


Farid Adly è un giornalista libico che risiede in Italia da quaranta anni. Collabora con alcune testate giornalistiche italiane come il Corriere della Sera e il Manifesto. Ai tempi dell’Università è stato il presidente del Movimento degli Studenti Libici in Europa e, negli anni Settanta ha fondato a Milano il periodico Al-Sharara (La Scintilla) dedicato al Medio Oriente. Oltre La rivoluzione libica, ha pubblicato racconti e poesie in italiano e in arabo.

Farid Adly, La rivoluzione libica. Dall’insurrezione di Bengasi alla morte di Gheddafi –  Il Saggiatore, Milano 2012