“La bambina con i sandali bianchi” di Malika Bellaribi

Posted on 19 Dic 2011


Le differenze tra Algeria e Francia e tra mondo arabo e mondo occidentale sono gli elementi principali di questa biografia segnata dal rifiuto dell’autrice verso le proprie origini e tradizioni che, però, tornano costantemente nella sua vita.

Nata in Francia quando l’Algeria era solo agli inizi della guerra di liberazione, Malika Bellaribi, “la settima ruota del carro” di una famiglia emigrata in Francia, ricostruisce la sua vita ponendo particolare enfasi sulla bidonville di Nanterre in cui vive, sulla sua “famiglia di pazzi” e sull’assenza affettiva di una mamma che, inaspettatamente, al suo quarto compleanno le “regala” un paio di sandali bianchi. Ed è proprio in quella occasione che tutto precipita: immersa nell’ammirare il regalo e trascinata dalla luce del sole all’esterno del negozio di scarpe, Malika viene travolta da un camion. Da questo momento, e per molti anni, inizia un calvario tra ospedali e interventi chirurgici; un percorso contraddistinto dall’odio verso la madre alla quale la bambina sostituisce nuove figure: l’infermiera Gabrielle, Sorella Marguerite (la prima ad avvicinarla alla fede cristiana), i medici. Un’esistenza che, se paragonata alla vita quotidiana nella famiglia Bellaribi, rappresenta più una vacanza che una convalescenza.

La lontananza da casa non rappresenta un dispiacere per Malika, ciò che, invece, la turba è dover fare i conti con ambienti dove i suoi lineamenti arabi sembrano risaltare (“ci guardavano e si chiedevano: cosa ci fanno questi? Perché non se ne tornano a casa loro?”).

Il rientro in famiglia è sconvolgente: non solo nessuno sembra accettarla, ma avvengono anche fatti che Malika è troppo piccola per capire. I genitori “discutono della guerra in Algeria, di un movimento chiamato FNL, di documenti falsi, di armi e di munizioni”. Solo dopo l’arresto del padre scoprirà che, nella casa in cui si è trasferita la famiglia, questi aveva riservato la cantina a luogo in cui sistemare “le armi destinate ai suoi amici del FNL”.

Nonostante impari a leggere e a scrivere, si lasci trascinare con piacere verso la fede cristiana e si comporti come una “francese”, Malika non riesce a superare il disagio legato alle sue origini (“ancora una volta sono la straniera, la figlia di un maghrebino”). A scuola, in particolare, ha grossi problemi di integrazione. La sensazione di malessere, inoltre, è aggravata dal suo essere diversa rispetto alla mamma e ai fratelli, tanto che inizia a pensare di “lasciare in fretta questa famiglia che ormai, in maniera definitiva, non riconosco più come la mia”.

L’adolescenza di Malika è segnata dalle fughe, non solo con la mente ma anche reali, dal rifiuto di accettare i principi della fede musulmana (come quello della verginità) e dal desiderio di essere accettata come “francese” e non maghrebina (“per me l’Algeria non è che una terra lontana dove le donne vanno in giro velate e dove si parla una lingua che non sono mai riuscita a fare mia”). Da questo mondo, Malika riesce a evadere solo attraverso quella musica e quei canti che le hanno insegnato le suore durante i suoi periodi di convalescenza.

A 17 anni, su proposta della madre, visita per la prima volta l’Algeria. L’impatto è forte quanto l’entusiasmo: caldo e confusione, “due mondi diversi si sfiorano in continuazione e ovunque: il XX secolo, con gli uomini d’affari in giacca e cravatta, e il Medioevo, con asini carichi fino allo stremo tirati dai loro trasandati padroni.” Ben presto, però, scopre che non si tratta di un viaggio di piacere nella “Algeri la Bianca, città dalle magnifiche strade che dominano un mare azzurro intenso, e dalle viuzze sordide nelle quali si ammassa tutta la miseria del mondo…”, ma un tentativo di farla rimanere per prendersi cura di una nipotina con ridotte speranze di vita e per darla in matrimonio a un algerino. Raggiunta dalla madre e dalla sorella, i tentativi di combinare un matrimonio falliscono e la famiglia deve accettare che la ragazza torni in Francia.

Da questo momento, il racconto è particolarmente movimentato: il lavoro, lo studio, la gravidanza, il matrimonio e il divorzio,  la conversione alla religione cristiana, il suicidio della sorella, il riavvicinamento alla mamma. La vita di Malika diventa un’odissea dalla quale riesce a venir fuori grazie alla musica. Ma, per quanto diventi una cantante lirica famosa,  il peso delle sue origini algerine continuano a limitare il suo entusiasmo.

In un secondo momento, il ricorrente tentativo di fuggire dai legami con il mondo arabo si attenua e, spinta dalla forza della musica, Malika decide di portare il canto ai bambini e alle loro mamme dei quartieri poveri di Parigi. Ritorna, quindi, nei luoghi in cui è cresciuta dove, nonostante a Nantenne sia cambiato tutto, “l’aria ha sempre lo stesso odore di menta e marguez e i passanti lo stesso sguardo stanco”.

Un percorso di speranza e dignità attraverso il quale l’autrice supera i disagi provocati dalle sue origini e si fa promotrice dell’integrazione attraverso il canto, perché, come lei stessa sostiene, “la musica è universale e associativa, è accessibile a qualunque ambiente socio-culturale”.

MARCELLA TRAMATZU, CSAS Centro Studi Africani in Sardegna


Malika Bellaribi è nata a Parigi nel 1956 da genitori algerini emigrati in Francia. Dalla fine degli anni Ottanta è diventata famosa come cantante lirica e ha tenuto numerosi concerti di particolare importanza. Il suo progetto di portare la musica nei quartieri poveri le ha fatto guadagnare il titolo di “Diva dei quartieri bassi”.  La sua biografia è stata pubblicata in Francia nel 2008 e, successivamente, in altri 12 Paesi.

Ha ricevuto diversi premi e ha realizzato diversi progetti per migliorare la vita dei bambini non solo nei sobborghi di Parigi, ma anche in altre aree della Francia.


Malika Bellaribi, “La bambina con i sandali bianchi”. Tradotto e curato da Roberto Boi, Edizioni Piemme, Milano, 2009.

Per saperne di più: www.piemmebestseller.it