Tra due anni, il 30 ottobre si festeggerà il quarantennale di quello che è stato ribattezzato The Rumble in the Jungle (“il terremoto nella giungla”): il leggendario match tra Muhammad Alì e George Foreman a Kinshasa (ex Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo). Il match voluto da Mobutu perché, come scrive Rino Tommasi, “avrebbe messo lo Zaire sulla carta geografica”. Fu lo scontro che ispirò il documentario “When we were kings” e che fece di “Ali boma ye” (“Alì uccidilo”) la colonna sonora che il popolo di Kinshasa intonava agli allenamenti di Alì.
Sempre su un quadrato, sempre in Africa, Kibomango ha visto morire il suo avversario Saidi, il vicecampione dell’Africa ed ex campione del Congo, durante il match che li vedeva l’uno contro l’altro. Per questo oggi gli impediscono di combattere. Nel frattempo lavora come meccanico e si allena per le strade di Goma: quando passa la gente gli grida “Chikese!” (“campione!”).
Un anno dopo The Rumble in the Jungle, il primo ottobre 1975, si celebra un altro match leggendario: The Trhilla in Manila (“Il thriller di Manila”). Oltre alla location (Manila- Filippine), cambia anche uno dei due protagonisti sul ring: a battersi contro Alì questa volta c’è Joe Frasier (recentemente scomparso). Questo viene ricordato come il più brutale incontro di pugilato della storia: 14 round e 132 minuti. Frazier ha un occhio totalmente chiuso e non vede i colpi di Alì, che dal canto suo è vicino allo svenimento.
Kimobango combatte senza un occhio, il sinistro, perso quando era un bambino soldato per l’esercito di Kabila durante uno scontro con gli angolani (via terra) e contro i mig dello Zimbabwe a Kitona (sulla costa congolese). Senza un occhio, come farà a vedere i colpi dell’avversario? Eppure Kibomango ha perso soltanto 2 incontri su 22.
Da anni il Nord Kivu, in nella Repubblica Democratica del Congo, è sulla carta geografica come una delle zone del mondo maggiormente martoriate da stupri, torture, uccisioni di civili e, soprattutto, dal reclutamento di bambini soldato: secondo Amnesty International ne sono stati liberati 36 mila, ma 6 mila continuano a combattere.
Sempre parafrasando le parole dello stesso Alì, l’epica delle storie del pugilato ha la forza di pungere come api e volare come farfalle. Oggi Kibomango insegna il pugilato ai bambini di strada e agli ex bambini soldato del suo quartiere, anche se il suo sogno è sempre quello di diventare un campione, se solo gli permettessero di combattere, dopo quello che è successo con Saidi: “Con la boxe puoi iniziare lentamente, ma alla fine della giornata ti può cambiare la vita. Sogno di essere il migliore, un campione del mondo, ma per loro voglio essere un esempio”.
Pasolini, Sepulveda, Hemingway: la letteratura ha sempre visto la boxe come una metafora della vita. Jack London scriveva: “Preferirei di gran lunga essere campione del mondo dei pesi massimi, che il re d’Inghilterra, il presidente degli Stati uniti o il kaiser di Germania”. Ci sono almeno altri seimila campioni di pesi leggeri del Congo da liberare.
ANDREA CARDONI – Nato a Roma, anno 1981. In famiglia è stato preceduto da generazioni di viaggiatori per lavoro dai quali, fin da piccolo ha sentito parlare di Africa e quando è diventato grande abbastanza ci è andato e tornato. Si occupa di grafica, video, volontariato, cooperazione, ricerca sociale e scrittura. Fa parte di Tulime onlus, con la quale va in Tanzania. Cammina domandando.
Link:
Una raccolta di articoli su Kibomango sul blog di Douglas Mason
La coalizione internazionale per fermare i bambini soldato e il report
“Trollmann, il pugile zingaro che sfidò il Terzo Reich” di Roberto Brunelli
Questo articolo è stato pubblicato l’11 gennaio 2011 su Noi coltiviamo! Il blog di volontari di Tulime onlus