Impressioni da Addis Abeba

Posted on 14 Mar 2012


Una delle prime cose che colpisce l’occhio, non appena si arriva ad Addis Abeba, è il verde. Non tanto verde pubblico, giardini curati, ma alberi che si intrufolano nel tessuto urbano, non solo allineati lungo i viali, ma incuneati tra una casa e l’altra, persino tra i palazzi delle zone più cementificate. Alberi di ogni tipo, ma con una significativa presenza di jacarande, che in questo periodo offrono lo spettacolo dei loro fiori violetti. A tratti, è come se i boschi circostanti volessero riprendersi la città.

Ma la città non arretra, tutt’altro. Forse è la seconda cosa che ho notato, arrivando qui: ma quanti palazzi stanno costruendo? Dev’essere il boom economico: il PIL dell’Etiopia cresce al ritmo del 10% annuo, e anche se questo non vuol dire ricchezza per tutti, c’è sicuramente chi ha capitali da investire. Non c’è una strada dove non ci sia almeno una palazzina in costruzione o in via di ristrutturazione. La cosa curiosa, beh, curiosa sino a quando non si pensa ai rischi di chi ci lavora sopra, è che praticamente non esistono i ponteggi come li conosciamo noi, ordinate strutture di tubi metallici. Qui no, qui i ponteggi sono fatti con pali di legno, che tradiscono il loro essere naturali perché, per quanto di dimensioni simili, ciascuno ha la propria curvatura, il proprio tratto distintivo. Legno sicuramente resistente, ma che trasmette una sensazione di estrema precarietà, specie se si pensa agli operai che vi si arrampicano, senza nessuna protezione, per sei, sette, otto piani. E poi, che fine farà quel legno quando le piogge l’avranno reso inservibile?

A parte i palazzi che si stanno costruendo in questi ultimi anni – nella maggior parte dei casi dei veri e propri obbrobri, almeno dal punto di vista di una non addetta ai lavori  – c’è da dire che tutta l’architettura di Addis Abeba è piuttosto moderna. L’edificio più antico, a quanto pare, è il Taitu Hotel, un albergo che oggi ha un fascino decadente. In effetti, tutta la città è stata fondata solo alla fine dell’ottocento, come nuova capitale in una zona più salubre del paese. La città, infatti, si trova ad oltre 2.500 metri sul livello del mare, un’altitudine proibitiva anche per le zanzare anofele, portatrici della malaria, abbondanti invece nei bassopiani del paese. Inoltre, un’altra attrattiva erano le sorgenti di acqua termale, tuttora sfruttate dall’Addisu Filwoha Hotel and Hot Springs, molto frequentato dai locali, dove per l’equivalente di pochi euro si può fare una sauna, o un idromassaggio termale, o farsi fare un energico massaggio.

Un’altra caratteristica del paesaggio urbano di Addis Abeba è che non c’è una netta distinzione tra quartieri poveri e quartieri di lusso, come accade altrove. Certo, ci sono zone quasi interamente costituite da baracche, e condomini di sole ville lussuose. Ma a parte questi estremi, un grappolo di baracche può benissimo spuntare tra villette e palazzine residenziali, o un hotel 5 stelle essere costruito a due passi da un mercato informale e da un campo dove quotidianamente pascola il bestiame. Dopotutto, asini, capre e pecore sono abituali frequentatori del centro città. Non di rado, durante una passeggiata, si ha la sensazione di aver inavvertitamente sbagliato strada, o di essere arrivati alla fine della città, perché ci si trova all’improvviso su un ponte circondato di catapecchie e boscaglia. Invece no, è tutto regolare, la strada è sempre quella, e dopo qualche decina o centinaio di metri il panorama torna ad essere quello di prima, con i ristoranti, i supermarket e i caffè.

Parlando di caffè, questo è uno degli aspetti in cui si sente di più l’influenza italiana. Non solo se ne beve tanto, ma è viene servito in tazzine da espresso, e di norma non è male. In più, per gli amanti del genere, cappuccino e macchiato si trovano ovunque, sono ben preparati e, sorpresa delle sorprese, si pronunciano proprio come da noi!

Un ultimo appunto lo merita la lingua amarica, alla quale dedicheremo un post a sé, perché il suo curioso alfabeto contribuisce a rendere misteriose ed esotiche anche le scritte più banali. Detto altrimenti, a meno che non venga fornita una traduzione / traslitterazione in inglese, non solo non si ha idea di cosa si nasconda dietro ad un’insegna, ma non riesce nemmeno a capire come vada pronunciata, e si prova lo stesso senso di smarrimento che avviene in genere con l’arabo (per chi non l’ha studiato, ovviamente). Fortunatamente ciò che è essenziale alla sopravvivenza di uno straniero, i menu dei ristoranti soprattutto, in genere viene tradotto anche in inglese.


ANNALISA ADDIS, CSAS – Centro Studi Africani in Sardegna