Il Sudafrica è razzista?

Posted on 9 Gen 2012


Oltre cento anni fa, nel 1897, il maestro di una scuola elementare di una missione cristiana metodista di Johannesburg, Sudafrica, scrisse una preghiera, sotto forma di gospel, per la liberazione, l’unione e la protezione dell’Africa e dei suoi figli. Il maestro si chiamava Enoch Mankayi Sontonga. Il titolo del gospel: Nkosi sikelel’iAfrika (Dio benedica l’Africa). L’Ottocento fu il secolo della conquista del Sudafrica, soprattutto nell’ultima parte con la scoperta dei giacimenti di diamanti e oro: nel 1871 vennero scoperti i diamanti a Kimberly, nel 1885 vennero trovate cave di oro nello Witwatersrand (dieci anni dopo la De Beers si affermava come unica concessionaria dello sfruttamento minerario in Sudafrica). Ed è dall’estrazione dei diamanti e dell’oro che nasce l’apartheid: la segregazione e e la separazione dei bianchi dai neri inizia con l’organizzazione del lavoro in miniera. Nei primi del Novecento il canto di Sontonga si diffonde in tutto il Paese mentre in quegli stessi anni era sconvolto da tensioni e lotte furibonde tra le repubbliche boere e l’esercito inglese: nel 1910 nasce la Repubblica Sudafricana, dominion dell’Impero britannico e l’inno nazionale della nascente repubblica era God save the King.

Due anni dopo (l’8 gennaio 1912) in una piccola chiesa di Bloemfontein (per gli afrikaneer, “Mangaung” in sesotho), nasce l’African National Congress (ANC) che si prefigge di sconfiggere la segregazione. Il primo presidente dell’ANC è il reverendo John Langalibalele Dube. Dopo appena un anno (1913) viene emanato il Native Land Act che sottrae ai neri l’87% delle terre e costringe il 67% della popolazione nel 7% delle terre coltivabili. Inizia una serie interminabile di leggi e atti che restringono le libertà dei neri sudafricani: l’Urban Areas Act (1923) crea i ghetti; il Color Bar Act (1926) impedisce ai neri l’accesso ai lavori qualificati; il Rapresentation of Native Act (1936) espelle i neri dalle liste elettorali; il population Registration Act (1950) suddivide la popolazione tra bianchi e “non bianchi” (i non bianchi sono divisi in colorati, indiani e bantu; a loro volta i bantu sono divisi in Zulu, Xhosa, Tswana, Venda e Soto). Negli anni Cinquanta, quello di Sontonga, da canto ecclesiastico divenne il simbolo della protesta del Sudafrica nero: l’African National Congress, il partito di Nelson Mandela, intonava Nkosi Sikelel’iAfrika durante la lunga campagna contro l’apartheid: il canto esaltava la libertà e l’unità africana, e furono proprio questi due elementi a favorirne lo straripamento oltre i confini sudafricani presso gli altri Stati dell’Africa subsahariana che, a partire dal secondo dopoguerra, iniziavano a marciare per la loro emancipazione dalle potenze europee colonizzatrici. L’inno del maestro Sontonga divenne l’inno di altri paesi dell’Africa Subsahariana libera.

L’ANC iniziò ad affermare la sua presenza con la disobbedienza civile promossa da Walter Sisulu e Nelson Mandela: nel 1955 a Johannesburg viene scritta la Freedom Charter. In tutta risposta nel 1960 avviene il massacro di Shaperville: la polizia spara su una manifestazione contro l’Urban Areas Act (che di fatto permetteva ai neri di passare nelle aree adibite ai bianchi solo con un lasciapassare) e provoca la morte di circa 70 persone. Arriviamo ai giorni nostri: nel 1994, nel corso delle prime elezioni libere, vinse l’ANC e Nelson Mandela (imprigionato dal 1964 al 1990) divenne presidente. Da quelle elezioni, l’ANC non ha più conosciuto sconfitte.

L’ANC di oggi: le contraddizioni di un paese. Nelle tante lingue in cui è stato tradotto Nkosi sikelel’iAfrika, c’è tutta la ricchezza e le contraddizioni di un paese: nell’attuale forma dell’inno ufficiale della Repubblica Sudafricana, l’orgoglio, il riscatto e la libertà africana espressi da Nkosi sikelel’iAfrika vengono cantati contemporaneamente in cinque lingue: nelle quattro lingue sudafricane Xhosa, Zulu, Sotho e Afrikaans e (paradossalmente) in Inglese.

Oggi, 8 gennaio, centinaia di migliaia di sudafricani sono tornati a Bloemfontein per festeggiare il centesimo anniversario della nascita dell’ANC, e lo fanno in grande stile  (in quello che è stato lo stadio che fu di Inghilterra- Germania 1-4). Eppure non è una festa che fa contenti molti sudafricani. Se  è vero che provengono dall’ANC due premi nobel come Chief Albert Luthuli e Nelson Mandela, è altrettanto vero che l’attuale ANC è in antitesi con le origini e i festeggiamenti di questi giorni ne sono la prova. Analisti, blogger, giornalisti, storici si chiedono: l’ANC ha mantenuto le sue promesse? Il Sudafrica è razzista? A guardare le celebrazioni del centernario forse troppo generose (si stimano sette milioni di dollari), una classe dirigente in perenne litigio, la povertà, la corruzione e la crescita della disuguaglianza all’interno del paese, forse diciotto anni di potere hanno offuscato la storia del partito. Dell’ANC fa parte un giovane leader, Julius Malema che (dopo essersi costruito una villa da 2 milioni di dollari), a pochi giorni dei festeggiamenti, ha dichiarato che nei prossimi 10 anni le miniere e fattorie dovranno essere dei neri e i bianchi i loro collaboratori domestici.

Sudafrica razzista? Cercate su twitter  #CapeTownIsRacist o #professionalblack e guardate cosa esce… Tutto è nato dalla cantate Lindiwe Suttle e dall’espressione “professional black” usata da Helen Zille (leader di Democratic Alliance, il partito di opposizione) su twitter si è riacceso il dibattito sull’apartheid e sul razzismo in Sudafrica: “Non importa quanto sei famoso/ricco, sei comunque un cittadino di seconda classe se sei nero a Città del Capo”, ha twittato Lindiwe Suttle.

Da una ricerca condotta dalla stessa università di Città del Capo  tra il 1993 e il 2008 il Sudafrica è stato il paese con la maggiore ineguaglianza (consulta il report): tra i più alti del mondo. E più che apartheid, si sta evidenziando sempre più la disparità sociale. Quindi l’apartheid è una delle tante rivoluzioni incomplete? Secondo lo storico olandese Stephen Ellis era proprio l’anti-apartheid la colla che dava coerenza al movimento. E una volta raggiunto il potere ha perso tutta la sua capacità di mobilitazione e di perseguimento degli obiettivi che ne hanno fatto uno dei movimenti politici più duraturi dell’Africa.

L’apartheid costava troppo. Secondo lo storico John Reader non è stato un cambiamento culturale a far cadere l’apartheid, ma un problema economico. Alla fine degli anni Ottanta il Sudafrica era sull’orlo della bancarotta: un apparato statale doppio (tre camere parlamentarei separati, dieci ministeri dell’istruzione), le sanzioni internazionali per il regime e la fuga dei capitali all’estero. Nel 1987 il tasso di crescita era tra i più bassi al mondo: il PIL pro capite era sceso sotto l’1,1% (tra il 1981-1987). L’apartheid quindi finì per ragioni economiche, anche grazie all’ANC: “il cambiamento non fu ispirato da un improvviso risveglio delle coscienze, ma fu una scelta pragmatica: l’apartheid costava troppo”. Anche a livello sociale, il Sudafrica era una pentola a pressione: (forse)  con le elezioni è stata evitata la guerra civile, che invece ci fu in Ruanda. Il 26 aprile 1994, mentre il Ruanda piombava nel caos, in Sudafrica si tennero le prime elezoni a suffragio universale: per la prima volta votarono anche i neri tra i 22,7 milioni di elettori sudafricani (il premio Nobel nigeriano per la letteratura Wole Soyinka scrisse «Il Ruanda è il nostro incubo, il Sudafrica il nostro sogno» – “The Bloodsoaked Quilt of Africa”, l’insanguinato mosaico africano).

A leggere la storia dell’ANC e di come ha perso la sua strada vengono in mente le parole del teologo ruandese  Laurien Ntezimana che, all’indomani del genocidio ruandese rimase sgomento, ma non stupito: “Ho l’impressione che abbiate ancora scoperto l’uomo, nella sua grandezza e nella sua miseria. L’uomo può sempre sorprenderci”.

ANDREA CARDONI, Tulime


Link:
Il video della BBC: www.bbc.co.uk/news/world-africa-16458429
L’articolo del Guardian: Il compleanno non-felice dell’ANC
Times: Tutti i presidenti dell’ANC
Sowetanlive: Racism is here to stay
Time magazine: Come l’ANC ha perso la sua strada


Questo articolo è stato pubblicato l’8 gennaio 2011 su Noi coltiviamo! Il blog di volontari di Tulime onlus