A poco piú di una settimana dal 4 marzo, data prevista per le elezioni e a seguito del primo dibattito presidenziale nella storia del Kenya, la corsa per la carica piú alta del paese sembra essere ancora dominata dalla vecchia politica dei “grandi numeri” e dei mabwana wakubwa[1] piú che dai manifesti politici.
Il colossale evento mediatico di lunedì 11 febbraio, costato ben 100 milioni in moneta locale (pari a quasi un milione di euro), che ha visto per la prima volta confrontarsi pubblicamente gli 8 candidati alla presidenza del Kenya, ha tenuto letteralmente incollati alla TV o alla radio gli oltre 14 milioni di elettori, ma non avrebbe avuto altrettanto successo nell’influenzare la loro scelta di voto.
“Ho particolarmente apprezzato la candidata Martha Karua per la sua preparazione e compostezza di fronte alla telecamera” afferma Wanjiku, studentessa di 21 anni; ma alla domanda prontamente posta dal giornalista “allora voterai per lei il 4 marzo?”, con altrettanta prontezza lei risponde “no”.
Secondo l’Electoral Institute for Sustainable Democracy, “il dibattito presidenziale serve a galavanizzare o ‘rinfrescare’ il supporto degli elettori per il candidato prescelto, piuttosto che a creare consenso o dissenso nei suoi confronti”, mentre la Law Society of Kenya sostiene che il dibattito non avrebbe “spezzato le linee etniche che caratterizzano il modo in cui noi kenioti votiamo”.
Non meno divergenti sono i modi in cui la stampa internazionale, da un lato, e i vari istituti di analisi politica, dall’altro, hanno interpretato l’impatto del dibattito sull’elettorato, sia circa la prevalenza di un candidato rispetto all’altro, sia sulla percezione dei singoli candidati. Secondo l’agenzia di stampa Reuters infatti, il dibattito avrebbe fallito nella creazione di un candidato dominante, mentre la societá di sondaggi privata Ipsos Synovate avrebbe assegnato ad Uhuru Kenyatta lo scettro del vincitore mediatico. Il candidato Peter Kenneth, per fare un altro esempio, è stato descritto come “la voce della ragione” da alcuni e come “arrogante” da altri.
Per conoscere i profili dei candidati, i loro punti deboli e di forza scaricate il pdf.
Nairobi, 20 febbraio 2013
HELENA PES – Laureata in Scienze Politiche all’Università di Cagliari, ha poi continuato gli studi a Bologna dove si e’ specializzata in Cooperazione e Sviluppo Locale e Internazionale. Dal 2009 vive e lavora in Kenya, dove scrive e collabora con l’ONG italianaWorld Friends. Attualmente si occupa di comunicazione e cura l’”osservatorio” in vista delle prossime elezioni in Kenya.
[1] Termine swahili che letteralmente significa “grandi uomini”, utilizzato per indicare gli “uomini potenti” intesi come personaggi influenti in ambito economico e politico
Quest’articolo è stato pubblicato su World Friends Onlus, con il titolo Il Kenya verso le elezioni presidenziali: dalla vetrina del primo dibattito televisivo della storia si intravedono “grandi uomini” e pochi programmi