Diario di una Rivoluzione 1 – Quando l’Egitto si arrabbia

Posted on 8 Feb 2011


28 GENNAIO 2011       

Foto di Lucia Veronica Gustato

Fa caldo. Perché siamo al Cairo, perché il fumo dei lacrimogeni pizzica negli occhi e nella gola, perché il sangue di questo paese ribolle di rivoluzione. E brucia. Bruciano gli pneumatici, e la sede del partito nazionale, bruciano gli animi nella disperazione. Solo un popolo al limite può sopportare di stare per ore fermo ad affrontare quel fumo che ti si appiccica addosso e che ti porti dietro, mentre l’odore di cipolla e di aceto riempie le strade. Gli scettici, gli indecisi, i coraggiosi, le donne…oggi non mancava nessuno all’appello della “mudhahra”, la manifestazione. Quella grande, che non si è fermata neanche un minuto, che le forze di polizia hanno cercato di disperdere con ogni mezzo, e che però alla fine ha vinto, si è presa le strade e la gente. Farsi avanti e indietreggiare, riprovare dai vicoli, scappare ancora, e poi finalmente entrare nella piazza centrale, che li aspettava silenziosa e accogliente. Niente hanno potuto gli spari, le sirene e i carri armati, e neanche l’annuncio del coprifuoco. Il popolo che vuole far cadere il sistema ha continuato a lanciarsi contro tutto ciò che finora l’ha oppresso, con i corpi e le pietre, piangendo e tossendo. Da ieri sera siamo completamente isolati, niente internet, niente telefoni, e ci fa impazzire l’idea di non poter sapere dove sono gli amici, se stanno bene là in mezzo, doversi incontrare solo per caso nei punti che conosciamo, non poter dire alle nostre famiglie che noi stiamo bene, affermando, convinti e bugiardi, che ce ne stiamo rintanati in casa. 

 All’inizio guardavamo dal balcone i primi gruppi che cercavano di avvicinarsi alla piazza, i primi attacchi, e le corse, e tutto questo ci faceva tremare per l’emozione, perché sappiamo che stiamo guardando un pezzo di storia da questo balcone.

Foto di Lucia Veronica Gustato

E poi finalmente ci facciamo coraggio, e mettiamo il naso fuori, guardando attenti in ogni direzione. I primi passi sono incerti, ma poi l’adrenalina ci guida verso le voci, verso la gente. E lì troviamo i nostri amici, spinti come noi dalle stesse emozioni. Cerchiamo di stare uniti, di evitare i grandi cortei, ma li guardiamo dalle strade parallele,  i nostri cuori urlano con loro. E i nostri occhi piangono come i loro, il fumo si infila dappertutto. Ognuno cerca di aiutare come può, c’è chi ha con sé un kit artigianale di primo soccorso, chi distribuisce aceto camuffato in confezioni di crema. Si corre. Si torna a casa per recuperare tutto quello che può essere utile in questa situazione. I lacrimogeni sono dappertutto, la casa è già piena di fumo,  dal balcone si lanciano cipolle e acqua per la gente che cerca riparo nella nostra strada. Siamo tutti a casa, circa 15 persone, ci facciamo coraggio, siamo increduli ma felici di essere qui, si prepara da mangiare per tutti. Continuiamo ad accendere sigarette anche se l’aria è già irrespirabile, ma quel piccolo gesto ci dà un po’ di tranquillità.       

 E si torna in strada , si raccolgono i “ricordi” che la polizia usa contro il suo popolo, i bossoli dei proiettili “made in Italy” ci fanno vergognare, si scappa , e ci si riunisce ancora a casa, stavolta tutti davanti ad una tv e ad un telefono. Ognuno riesce a parlare per un minuto con la propria famiglia, “stiamo bene, i telefoni e internet non funzionano ma noi stiamo bene”, e tutti facciamo del nostro meglio per sembrare tranquilli, nascondiamo l’emozione e la paura. Ma stare a casa per più di un quarto d’ora è impossibile, si esce a gruppi, arriviamo alla piazza…la polizia è stata scacciata, la gente invade la piazza con gli slogan e la passione. La pioggia di lacrimogeni e proiettili di gomma non si ferma, ma neanche si ferma la gente, che affronta tutto senza apparente paura. La stanchezza alla fine prevale, ci rintaniamo in casa, stavolta davvero, gli spari continuano e noi tremiamo ad ogni colpo, stare insieme ci fa sentire più sicuri, anche se ognuno sembra perso nei propri pensieri, qualcuno ha in mente la famiglia lontana, qualcuno gli amici che non si decidono a tornare, qualcun altro è pieno di rabbia e speranza, o forse tutti condividono in qualche modo le stesse sensazioni. Qualche sorriso stropicciato fa rilassare i nostri volti, le foto testimoniano che è tutto vero, e che noi c’eravamo.      

Ora è mezzanotte e mezza. Il presidente si è deciso a parlare, parla di un nuovo governo da domani, e questo significa che almeno una delle richieste avanzate dai manifestanti verrà soddisfatta. E intanto fuori gli spari si intensificano ancora, la gente inizia a spaccare le vetrine, a rubare,  e questo mi fa incazzare perché era stata una manifestazione di tutto rispetto, ma chi dice che questo era prevedibile forse ha ragione, alle persone è rimasto solo l’irrazionale dopo tutto quello che è successo. Le linee telefoniche continuano a non funzionare, gli amici continuano a stare per strada. Noi li aspettiamo, il tè ci aiuta a non sentire il tempo, è impossibile dormire. Aspettiamo domani.    

 E domani è arrivato dopo poco, all’una di notte, con i carri armati in piazza. Scendiamo di corsa per vedere la scena: piazza Tahrir piena di carri armati e di gente che ci sale sopra, i dimostranti e i soldati si danno la mano, mangiano insieme quel poco che c’è, si fanno fotografare. La gioia delle persone per aver conquistato almeno una parte di ciò che avevano richiesto, e per avere l’esercito dalla loro parte.       

Foto di Lucia Veronica Gustato

Qualche goccia di pioggia rinfresca l’aria. Un regalo di Allah, si sente dire dappertutto.    La piazza è lo scenario della conquista e della guerriglia appena terminata, non si fanno due passi senza inciampare nei proiettili, nelle pietre, nei rami e in qualunque cosa la gente abbia usato per difendersi.     Ma la polizia presidia ancora la strada in cui si trova il parlamento, obiettivo principale dei manifestanti, e dopo la festa i carri armati cominciano a muoversi. Pare che si spostino proprio in direzione della polizia, forse per cercare un dialogo, o più probabilmente per fare in modo che la gente, sentendosi abbandonata e prendendo questo come avvertimento, vada via e lasci le strade libere. Andiamo via anche noi. L’ultima foto della giornata ci ritrae seduti a terra, nel bel mezzo della strada principale, completamente vuota.       

LUCIA VERONICA GUSTATO – Laureata in Letterature e Culture Comparate presso l’Università L’Orientale di Napoli