Oggi, 20 giugno, si celebra come ogni anno la Giornata Mondiale del Rifugiato. Si tratta di una ricorrenza particolarmente importante per il continente africano, data la rilevanza del fenomeno. Infatti, se il maggior numero – in termini assoluti – di rifugiati proviene dall’Asia, e in particolare dall’Afghanistan, è anche vero che il numero di rifugiati africani rispetto alla popolazione del continente è estremamente elevato.
In totale, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) stima nel suo rapporto 2011 che vi siano circa 10 milioni di rifugiati nel mondo, circa un terzo dei quali di origine africana. Questi numeri, già di per sé preoccupanti, fanno riferimento solamente alle persone che possiedono lo status di rifugiato, e non tengono conto di richiedenti asilo e sfollati – contando anche questi ultimi, il numero totale sale a oltre 40 milioni.
Ma facciamo un po’ di chiarezza concettuale. Un rifugiato è una persona che ha lasciato il proprio paese d’origine o di residenza per il timore (fondato) di persecuzioni per motivi di appartenenza razziale, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche. La Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati prevede tutta una serie di tutele che il paese ospitante dovrebbe concedere ai rifugiati, consentendo loro di condurre una vita “normale”, e dunque lavorare, ricevere un’istruzione, beneficiare di assistenza sanitaria, e quant’altro. Soprattutto, la Convenzione vieta espressamente di espellere o respingere un rifugiato verso paesi dove la sua vita potrebbe essere in pericolo (il cosiddetto principio del non refoulement). Si tratta di una norma frequentemente disattesa, anche dall’Italia. È importante notare – nonostante la cosa venga ignorata da chi vuole dipingere l’Italia come un paese a rischio “invasione” – che la stragrande maggioranza dei rifugiati (4/5) viene accolta da paesi in via di sviluppo, ossia dai paesi che confinano con quello da cui sono fuggiti.
Un richiedente asilo, invece, è una persona che ha presentato domanda per poter ottenere lo status di rifugiato, ma è in attesa di ottenere risposta. Evidentemente, in questa categoria rientrano sia persone che hanno tutti i requisiti per poter ottenere lo status di rifugiato, sia persone che non li hanno o che non riescono a produrre adeguata documentazione. Anche per i richiedenti asilo dovrebbero essere previste alcune forme di tutela, in particolare il divieto di respingimento sino a che non verrà accertata la fondatezza della domanda. Tuttavia, di fatto, i richiedenti asilo si trovano spesso a vivere in una sorta di limbo – non comuni immigrati, ma neppure “veri” rifugiati.
Infine, gli sfollati, in gergo Internally Displaced People (IDPs), sono coloro che – sempre considerandosi in pericolo di vita – abbandonano il proprio luogo di origine o residenza, ma senza varcare dei confini nazionali. È il caso, per esempio, di chi fugge da un conflitto localizzato in una regione di un dato paese, insediandosi in una zona diversa e meno rischiosa. Garantire adeguata protezione a questa categoria di persone è spesso un compito estremamente complesso, specie quando si nascondono tra la popolazione locale, perché la causa delle persecuzioni dalle quali fuggono è lo stesso governo che avrebbe il dovere di proteggerli.
Insomma, anche se può sembrare paradossale, quello di rifugiato, rispetto agli altri, è addirittura uno status privilegiato. Tuttavia, il nostro paese non fa ancora abbastanza per garantire a queste persone i diritti che spettano loro.
ANNALISA ADDIS, CSAS – Centro Studi Africani in Sardegna