Tira un venticello fresco, oggi, a Yabello, paesotto dell’Etiopia meridionale, terra dei pastori Borena. Si sta bene con le maniche lunghe, penso, e sorrido pensando all’immagine stereotipata che abbiamo noi dell’Africa, come se fosse tutta uguale e facesse sempre caldissimo, ovunque. E vale pure il contrario, molti africani faticano a credere che da noi possa fare davvero caldo d’estate. E invece certe giornate afose di luglio sarebbero insopportabili pure per loro.
Tira un venticello fresco e il cielo è coperto. Da un paio di settimane abbiamo notato che il tempo sta cambiando. Spesso ci sono quasi delle piccole tempeste di sabbia, il cielo si riempie di nuvole. Sono, a quanto pare, le avvisaglie della stagione delle piogge “Ganna”, quella più lunga, che in teoria comincia a marzo-aprile e va avanti sino a giugno. In teoria, appunto, perché intanto marzo è finito e ancora niente. Solo poche gocce due settimane fa, ma fanno meno testo della famosa rondine a primavera. Le gocce erano talmente poche che sulle prime mi sono guardata intorno per assicurarmi di non avere accanto un cavallo o una mucca col raffreddore. O magari qualche ragazzino in vena di scherzi idioti. E invece no, era davvero pioggia, ma non è durata molto più di uno starnuto. Poi più nulla.
Le previsioni meterologiche, che ormai vengono elaborate con sistemi molto sofisticati, già da qualche mese hanno indicato che le piogge potrebbero iniziare tardi, ed essere inferiori alle aspettative. Chi può, si prepara. Lo scorso anno la stagione era praticamente saltata del tutto, innescando serissimi problemi, qui come in altre parti del Corno d’Africa. Le previsioni ci avevano azzeccato, lo si sapeva mesi, eppure non si è fatto abbastanza per fare in modo che il bestiame, la maggior ricchezza di queste genti, avesse acqua e foraggio a sufficienza, oppure che fosse venduto prima che fosse troppo tardi. E quando il bestiame inizia a morire di fame e sete, è solo questione di tempo prima che gli esseri umani abbiano la stessa sorte.
La crisi umanitaria, comunque, non era stata grave come in Somalia, dove la siccità si era sommata all’instabilità politica, ai raid delle milizie, al sovraffollamento dei campi profughi, all’impossibilità per molte organizzazioni di portare soccorsi in alcune zone, insomma tutte le condizioni da manuale perché ci fosse una carestia.
Quest’autunno, per fortuna, la stagione delle piogge “Hagaya”, quelle brevi, è arrivata in tempo, portando con sé un miglioramento della situazione. Nel giro di pochi giorni, mi raccontano, quello che era un paesaggio semidesertico si è tramutato in verde lussureggiante. Certo i problemi non sono mancati: in alcuni casi le piogge sono state torrenziali, causando danni anche loro. I sistemi di gestione e conservazione delle acque lasciano piuttosto a desiderare, e l’apparente paradosso delle alluvioni in terre caratterizzate per la siccità non è infrequente. Ad ogni modo, la popolazione ha potuto tirare un sospiro di sollievo. La malnutrizione è diminuita, le condizioni di salute degli animali sono migliorate. Alcune agenzie umanitarie hanno già chiuso i loro progetti di emergenza. Anche in Somalia, si è potuto revocare lo stato di “carestia”.
Tuttavia, malgrado i miglioramenti, la situazione è ancora precaria, e potrebbe peggiorare se le piogge tardassero ancora per molto. L’impegno per la prevenzione non è ancora sufficiente, per quanto qualcosa stia migliorando. Si cerca di promuovere pratiche di gestione efficiente dei pascoli, incoraggiare l’allevamento di specie che tollerino meglio lunghe siccità, come capre e cammelli, invece di pecore e bovini. Ma non è ancora abbastanza. Anche perché quest’anno tutti gli occhi sono puntati sul Sahel, il Corno d’Africa fa tanto trend-topic dell’anno scorso.
Un ticchettio sul tetto interrompe il flusso dei miei pensieri. Esco fuori a controllare: è iniziato il primo acquazzone!
ANNALISA ADDIS, CSAS – Centro Studi Africani in Sardegna