Mali: la coesione sociale in via di estinzione!

Posted on 29 Ott 2012


Questo articolo ripercorre il contesto storico della costruzione della pace, “Djatiguiya” (“coesione – ospitalità – solidarieta”), del “cousinage à plaisantin” in Mali. Oggi questa coesione sociale tende a perdere il suo posto nella società maliana, in particolare a causa degli eventi che hanno colpito il Mali durante gli ultimi mesi: un colpo di stato, che da marzo ha interrotto dall’oggi al domani la quotidianità democratica del paese, e l’occupazione delle tre regioni settentrionali (Kidal, Gao, Timbouctou) da parte di gruppi terroristici e / o islamici (AQIM, MNLA, Ansar Dine MUJAO, Boko Haram).

Il Mali è un paese laico in cui tutte le fasce sociali coabitano e vivono in perfetta armonia. Questa “coesione” è un’eredità dei nostri antenati, costituisce il fondamento della nostra società e l’orgoglio di tutti i gruppi etnici del Mali. Inoltre, i vari gruppi etnici condividono l’uso del “cousinage à plaisantin”: per esempio, un Dogon è un cousin à plaisantin con un Songhoy, e in quanto cugini non discutono tra loro. Lo stesso rapporto esiste tra i Fulani e i fabbri Bamanan, i Dogon e i Bozo, i Diarra e i Traoré, i coulibaly e i Touré. Al nord, lo stesso accade tra i Bella e i Songhoy, i Touré e i Maiga… . Senza questa “coesione”, questa “Djatiguiya”, che rappresenta il vero pilastro della società maliana, la coabitazione sarebbe impossibile.

Le popolazioni del Mali sono legate non solo da vincoli di cousinage, ma anche da legami di parentela, che danno vita ad un vero mix etnico che esiste da secoli e risale ai nostri antenati. Quando i Tuareg, tradizionalmente pastori nomadi di origine berbera, arrivano in una delle città lungo le sponde del Niger, incontrano i Songhoy, tradizionalmente agricoltori, considerati come fratelli. I Songhoy offrono automaticamente alloggi e sono considerati i garanti nelle città e villaggi. Durante il suo soggiorno, l’ospite Touareg viene completamente integrato nella vita familiare del contadino Songhoy: condividono cibo e alloggio e passano gran parte del tempo a chiacchierare e a preparare del the.

La moltitudine negli usi e costumi della sua gente ne costituisce la vera bellezza e ricchezza, e fanno del Mali una terra di ospitalità e accoglienza. Questa parte dell’Africa è islamizzata da secoli. Come si può immaginare che questo modo di vivere sia oggi in pericolo per gli interessi personali e geopolitici e che soprattutto tutto sia rimesso in causa per via delle pratiche religiose?

É importante ricordare che il nord del Mali è stata la porta d’ingresso della religione musulmana in Mali. Com’é possibile che individui che si definiscono “islamici” vengano oggi ad insegnare proprio alle popolazioni del nord i concetti della religione musulmana? Lo spirito religioso nel nord del paese è da sempre cosí radicato che alcuni sono persino partiti a piedi per raggiungere l’Arabia Saudita e adempiere ai loro obblighi religiosi (il pellegrinaggio alla Mecca) [ndt].

Oggi, il nostro paese è diviso in due sia a livello territoriale che all’interno stesso della popolazione. Il 17 gennaio 2012, il campo militare di Aguelhok è stato attaccato da banditi armati. Ciò ha causato, a marzo, una manifestazione delle mogli dei militari di Kati, la più grande base militare del Mali, situata a 15Km da Bamako. Le manifestanti chiedevano all’allora presidente del Mali,  il generale Amadou Toumani Toure (ATT), il miglioramento delle condizioni di lavoro dei loro mariti, mandati a combattere al nord. Il presidente Toure non prese sul serio questa rivendicazione e non concesse nemmeno udienza alle donne per ascoltare di persona le loro motivazioni e fornire le dovute rassicurazioni. Purtroppo, è proprio a Kati che, il 22 marzo scorso, un ammutinamento dei militari si è trasformato in un colpo di stato. Da allora, il Mali vive una situazione di completa incostituzionalità e instabilità, poichè il rovesciamento del regime ha fornito l’occasione ai gruppi islamisti del MNLA (Movimento Nazionale per la Liberazione del Azawad) d’impossessarsi dei 2/3 il territorio nazionale.

Gli islamisti composti da gruppi armati del MUJAO, Ansar Dine, Boku Haram e AQIM hanno attaccato e occuppato le città di Kidal, Gao e Timbuktu in 72 ore, tra il 29 e il 31 marzo. Questi banditi armati sono diventati da allora padroni indisturbati delle tre regioni del nord, hanno imposto la loro autorità e, come tali, la loro legge sulle popolazioni innocenti e resistenti. Questo nuovo corso nel nord mette seriamente in pericolo la  nostra coesione sociale, che è non solo il nostro orgoglio e la nostra identità, ma soprattutto la base di riferimento di tutte le nostre relazioni socio-economiche e culturali.

Perché i nostri fratelli Tuareg hanno fatto da guida agli islamisti nel nord del Mali, che ora impongono ai residenti la sharia e le idee estremiste dei fanatici della religione musulmana? In realtà, l’Islam è una religione fatta di pace, di tolleranza, di solidarietà e, soprattutto, del rispetto tutte le altre religioni, perché siamo tutti figli di Dio e discendenti di Adamo ed Eva. Cari fratelli Touareg, vi renderete conto di tutti gli abusi? La distruzione dei santuari della città santa di Timbuktu, per esempio, o la fustigazione a Goudam di una donna e del suo bambino poi deceduto subito dopo, con la sola colpa di aver fatto un bagno sul fiume o ancora le 100 frustate e l’umiliazione subita dalle coppie di Timbuktu? É davvero troppo!

I nostri antenati avranno senza dubbio vergogna di questo comportamento nei confronti dei vostri fratelli e sorelle sedentari. Non è possibile immaginare che si possano violentare le nostre cugine sedentarie, saccheggiare le già magre risorse, distruggere qualsiasi infrastruttura, distruggere ospedali, farmacie, scuole, archivi e le memorie un intero popolo. Oggi, le nostre zie, madri e sorelle tuareg, i nostri fratelli, zii, padri e vicini tuareg, sono stati costretti a lasciare il loro bestiame, pascoli e punti d’acqua per colpa di una minoranza che vive in Europa, eccitata da follie di grandezza.

Queste popolazioni, attualmente rifugiate tra la Mauritania, il Burkina Faso, il Niger e l’Algeria, soffrono e si sentono perse per colpa di questa minoranza chiamata “MNLA” e si chiedono se sia solo un incubo o una maledizione. Poichè in realtà noi Songhoy, Toureg, Arabi, Fulani, e Mauri e Bellas abbiamo lo stesso padre e la stessa madre.

É veramente importante che i nostri parenti tuareg fermino questa guerra che non fa altro che dividere i popoli del nord, minacciare la nostra coesione sociale e le relazioni ancestrali che ci governano da secoli.

Bisogna assolutamente trovare una via d’uscita a questa situazione. I gruppi islamici che sono attualmente nel nord del Mali provengono dall’estero, ad eccezione di alcuni membri del gruppo Ançar Dine. C’è ancora tempo per ricostruire la nostra unità, perché se non lo facciamo con urgenza si rischia di scavare un grande divario tra noi e i profughi del nord. A causa di questa situazione, nessuno si interessa più a Gao, Timbuktu o Kidal. Dove sono i turisti che vengono a vedere la città santa di Timbuktu con i suoi mausolei oggi distrutti, le moschee fatiscenti? Dove sono le corse di motociclette, auto e camion (Rally Parigi – Dakar di Thierry Sabine) che affrontano la grande avventura da Parigi a Dakar attraversando tutto il Mali (Tessalit-Kidal-Aguelhok- Gao-Bourem-Gourma Rharouss Ber-Timbuktu-Lere-Kayes)?

È tempo di trovare il modo di ritornare alla pace, alla stabilità, alla coesione e soprattutto lavorare mano nella mano come prima per lo sviluppo sostenibile del nostro paese. Non è usando le armi contro i propri fratelli che ricostruiremo il nostro paese e soprattutto non distruggendo le infrastrutture, gli ospedali, non è violentando donne e ragazze, distruggendo tutta la memoria della propria terra che si può creare lo sviluppo. Fermiamo la violenza allora, tutti ne trarremo beneficio.

KALIFA AHMADOU TOURE – Economista, Assistant Professor presso la Facoltà di Economia e Management (FSEG) – Università degli Studi di Bamako

Traduzione dal francese di MARIA SERRENTI – CSAS

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