Anche in Camerun da 16 anni l’8 marzo si celebra la festa della donna, in modo particolare nelle città e in qualche grosso villaggio. Ogni anno uno slogan dà il tema della celebrazione, quello di quest’anno era: “Rendere autonome le donne rurali per permettere lo sviluppo”. Questo dovrebbe fare da filo conduttore, almeno nei desideri del Ministero degli Affari femminili, a dibattiti e conferenze. In realtà questo non avviene quasi mai. La festa si riduce il più delle volte a una sfilata delle donne, vestite con il tessuto (pagne) che la società tessile camerunese produce ogni anno per l’occasione.
Questo tessuto sembra anzi la cosa più importante della festa rendendola un grosso evento commerciale per la società che lo produce a decina di migliaia di pezzi, venduti in pochi giorni. Anche questo pagne è veicolo di messaggi vari. Se guardiamo quello di quest’anno, si presenta con un grande ovale al centro, con quattro piccoli dischi attorno. Il grande ovale presenta una donna in abiti da magistrato a sinistra e un’altra donna a destra (non si capisce bene cosa sia). Sotto di loro un paniere che contiene il simbolo della medicina, una zappa, una pianta di cotone, delle banane, un computer: il tutto a simbolizzare i lavori che le donne possono fare. In alto due scritte, in francese e inglese (le due lingue ufficiali del Camerun): “Giornata internazionale della donna 2012” e “Conduciamo il Camerun verso la modernità” In basso: “In cammino verso l’emergenza: 2035” e “Donne: attrici delle grandi realizzazioni”. I dischi più piccoli presentano invece un uomo e una donna al lavoro nei campi.
Tutti questi slogan sono certamente belli, ma purtroppo poi nella realtà, passata la festa, niente cambia. Certo ci sono oggi in Camerun donne medico, magistrato, avvocato, impiegate negli uffici statali… ma in numero veramente irrisorio. Per la maggior parte delle donne del Camerun il destino è già fissato alla nascita: riproduttrici e lavoratrici, in particolare del settore agricolo. E non potrebbe essere diversamente visto il bassissimo tasso di presenza femminile nelle scuole. Infatti, se nelle elementari il numero delle bambine è aumentato (la loro presenza percentuale rimane comunque molto bassa rispetto ai maschietti), nelle scuole superiori diventano rarissime. Quelle che proseguono gli studi sono in genere figlie di famiglie di città, di gente che ha studiato e che può permettersi le spese elevate che la scuola superiore comporta.
Per le figlie dei contadini, che verso i 17-18 anni sono già sposate, la scuola superiore è un sogno. Soprattutto al nord, zona agricola e di allevamento, la donna è la forza trainante dell’economia domestica. È lei a svolgere ogni giorno una mole importante di lavoro: alle 5 del mattino è già in piedi a macinare la razione giornaliera di miglio per la famiglia, seguono poi nel corso della giornata la raccolta dell’acqua (spesso lontana da casa), legna per la cucina, la cura dei figli e, nella stagione delle piogge, la coltura dei campi. In stagione secca molte poi curano un piccolo orto domestico per le erbette usate in cucina. Gli uomini hanno meno lavoro, a parte durante la stagione delle piogge. Nella lunga stagione secca, da ottobre a maggio, poco lavoro e molto tempo a disposizione per frequentare i mercati, le cerimonie funebri, le visite a amici e parenti lontani. Anche il rinnovo della paglia dei tetti viene in genere terminato alle prime piogge: tanto c’è sempre tempo!
Questo stato di cose, in cui la mole maggiore e quotidiana di lavoro è svolto dalle donne, mi ha colpito in modo particolare poco tempo fa (anche se vivo qui in Africa da 27 anni), quando, grazie a finanziamenti avuti da amici italiani, abbiamo potuto offrire un pozzo alle donne del villaggio di Mayda. Per la trivellazione, che viene fatta a mano, c’è bisogno di tanta acqua. Ecco allora le donne che dal mattino presto sono andate al pozzo più vicino a riempire bidoni di acqua; gli uomini invece, senza nessuna vergogna, diremmo noi, si sono seduti attorno all’area di lavoro, a guardare e commentare… Già, prender l’acqua al pozzo è lavoro da donne, non da uomini; se non si rispettano le regole tradizionali della divisione del lavoro, dove andremo a finire?
È per il cambiamento di mentalità che bisognerebbe agire. Certo quest’anno è stata una buona cosa pensare alle donne rurali (la maggior parte delle donne del Camerun), ma passata la festa, i nostri politici faranno veramente qualcosa di concreto per loro? Le donne non hanno bisogno di dimostrare che possono organizzarsi, se solo gli si desse un piccolo aiuto per iniziare. Nel mio villaggio da un anno è nata una piccola cooperativa di acquisto-vendita delle donne. Abbiamo fornito il primo piccolo capitale per iniziare; dopo un anno ora sono pronte ad aiutare le donne di un altro villaggi a lanciarsi nella stessa iniziativa. L’importante è che gli uomini restino fuori, altrimenti in poco tempo si mangiano i capitali e fanno fallire l’impresa, come è successo per un mulino che era stato regalato alle donne di un villaggio vicino.
Donne autonome capaci di auto sviluppo? Si, è possibile, ci stanno provando.
TONINO MELIS è prete, missionario in Ciad e Camerun dall’85, linguista e direttore del Centre Culturel et Musée de la Vallée du Logone a Yagoua, Nord Camerun.