La storia di Maria che correva troppo

Posted on 20 Nov 2012


Nella corsa ogni passo è una promessa fatta alla terra. La promessa che avrà un altro passo. E dopo quello un altro passo ancora. L’ultimo è sempre più veloce di quello fatto prima. E poi ancora un altro. Nella promessa c’è un nuovo appoggio sulla punta. Le dita che parlano con la testa per il prossimo slancio e poi via. La corsa si gioca tutto su attimi di futuro da raggiungere. La coordinazione dei gesti e dei passi gioca sui tempi e sulla terra o acqua da calpestare. Che sia polvere rossa o il tartan olimpico poco importa.

La terra di Maria è fatta di granelli rossi. La leggenda vuole che siano diventati rossi per il tanto sangue versato dai suoi antenati, i wahehe, per resistere all’invadenza dei tedeschi. Il fiume Ruaha, in Tanzania li ha portati sull’altopiano a Iringa e oggi lì la terra è rossa. Maria aveva tredici anni ed era la più veloce di tutte sull’altopiano. Nelle gare della sua scuola era sempre la prima. Tant’è vero che Maria gareggiava pure coi maschi a più di 2000 metri sul livello del mare. Era talmente brava che un professore di educazione fisica, italiano, era rimasto talmente impressionato dalla corsa di Maria che voleva portarla in Italia. Era diventato il suo sogno, la sua ossessione. Maria doveva correre. Ma prima voleva testarla facendole indossare un paio di scarpe da corsa. Anche una preparazione specifica in Tanzania poteva essere un bell’antipasto prima di arrivare in Italia. E così Maria si sposta in città. E va in una scuola militare. Lì Maria ha smesso. Si ritrova incinta di un suo professore e ora Maria non corre più. Né in Italia, né in Tanzania. Neanche va più a scuola. E non la rivogliono più neanche i suoi genitori.

Maria non è il suo vero nome. È la sua storia ad essere vera. Come quella di tanti altri ragazzini che, ad esempio, partecipano ai programmi triennali di promozione del calcio giovanile promossi da squadre occidentali, come l’Arsenal, e finanziati da compagnie telefoniche indiane, come l’Airtel. Ma quanti poi riescono ad arrivare a giocare a calcio come professionisti? E che cosa ne sarà di quelli che non ce la faranno?

Storie come quelle di Maria hanno ispirato una campagna realizzata in Mozambico che dice: “Ogni anno, più di mille uomini e bambini sono vittime di traffico umano perché credono a promesse false”.

Sul futuro ci si atterra con i piedi, i propri. Non ci si arriva con i sogni sognati dagli altri.


ANDREA CARDONI – Nato a Roma, anno 1981. In famiglia è stato preceduto da generazioni di viaggiatori per lavoro dai quali, fin da piccolo, ha sentito parlare di Africa e quando è diventato grande abbastanza ci è andato e tornato. Si occupa di grafica, video, volontariato, cooperazione, ricerca sociale e scrittura. Fa parte di Tulime onlus, con la quale va in Tanzania. Cammina domandando.