“A la gloire des coloniaux du 13ème Régiment Sénégalais qui sont tombés ici pour la Libération de la Patrie le 17 juin 1944” recita il monumento presente sulla spiaggia di Marina di Campo, nell’isola d’Elba, in Toscana.
Nei libri di storia nessun riferimento a questo episodio tanto che risulta complicato riuscire a comprendere una scritta che commemora soldati africani morti in territorio italiano per la liberazione della Francia.
Probabilmente una delle tante storie racchiuse nella memoria di coloro che le hanno vissute e che con loro sono sepolte se non arriva chi si impegna a dare un nome e un volto, reale o immaginario, alle persone che hanno attraversato quei luoghi e che con la loro presenza hanno determinato il corso della Storia.
La Storia dei “tirailleurs” senegalesi che hanno contribuito alla liberazione dell’Isola d’Elba dal nazifascismo ce la racconta la giornalista Francesca Caminoli con “La guerra di Boubacar”, romanzo che ruota attorno alla spiaggia di Marina di Campo, località La Foce, teatro dello “sbarco più sanguinoso della seconda guerra mondiale nel Mediterraneo”. Perché il suo racconto sia inappuntabile dal punto di vista storico, l’autrice si è documentata su una serie di manuali, soprattutto francesi, in rete e in musei, archivi e alla “Maison Anciens Combattants” di Dakar, dove è riuscita a incontrare un reduce di quel terribile massacro, l’ormai anziano Youssuf Diop, deceduto nel 2007.
La narrazione di questa vicenda è affidata ai pensieri del vecchio Boubacar, soldato del 13esimo reggimento senegalese costretto a combattere in Europa dopo essere stato, come molti altri commilitoni, sequestrato dal suo villaggio, legato come in un’altra epoca gli schiavi e condotto in un campo militare per un periodo di duro ed estenuante addestramento.
Poca era forse la consapevolezza della situazione europea ma sicuramente tanto il desiderio di un ritorno glorioso in cui poter vantare il titolo di “citoyen”. Mai più suddito, mai più cittadino a metà. Queste le promesse e le aspettative che si univano ai pensieri sulla famiglia lontana e sulla guerra, manifestatasi in tutta la sua ferocia quando l’intero reggimento raggiunse la spiaggia minata di Marina di Campo, all’alba del 17 giugno del 1944.
“Lamenti. Urla. Dei vivi e dei feriti. Del mare e del cielo. Boubacar guardò. Immaginò di riattaccare teste, infilare viscere dentro le pance, riportare braccia e gambe a chi appartenevano. Voleva dare ai suoi compagni la dignità di un corpo che si potesse presentare intero davanti a chi tutto voleva e poteva. Voleva che i loro spiriti arrivassero interi oltre il mare, oltre il deserto, fino alle orecchie dei griot e che i griot cantassero la loro morte e la loro gloria, perché nessuno si dimenticasse del ragazzo di Konakry, di Samba e di tutti gli altri, perché la rabbia non seppellisse la memoria insieme ai pezzi dei loro corpi.”
“La guerra di Boubacar”, pubblicato da Il Grande Vetro/Jaca Book, è un romanzo coinvolgente che, con un linguaggio semplice e sensibile, è capace di accompagnare adulti e bambini nei pensieri dei protagonisti, nelle strade da loro attraversate, nell’incrociarsi di sguardi e di memorie descritti con raffinata capacità poetica tanto da sentire sulla pelle lo stupore e le emozioni per la scoperta dei paesaggi e il susseguirsi degli avvenimenti.
Alla rigorosa ricostruzione storica delle vicende di Boubacar si alternano le avventure del giovane senegalese Boubacar e della giovane francese Gustavine, entrambi spinti verso la stessa spiaggia dalla voglia di vedere il luogo raccontato dai rispettivi nonni, per rendergli un rispettoso omaggio. Ma non solo, spinti anche dal coraggio di partire e mettersi continuamente in gioco alla ricerca di un’alternativa alla precaria esistenza offerta ai giovani di oggi ad ogni latitudine.
A distanza di decenni, due generazioni unite dallo stesso viaggio e dalla stessa speranza: quella di conquistare la libertà, quella di diventare cittadini a pieno titolo e di godere dei diritti e di quel benessere che sembra interessare solo una piccola parte della popolazione mondiale.
“Pensavo al nonno. Anche lui era arrivato in Europa con una barca, con una grande nave militare. Anche lui era partito dalle coste atlantiche, dal Marocco. Anche lui non sapeva come sarebbe andata. All’isola d’Elba, era stato accolto da una spiaggia minata e dagli spari nemici. Io, pensavo, come sarei stato accolto? Dalle navi del Frontex? Dalla polizia? Spareranno anche a me? Il nonno era partito per la seconda guerra mondiale. Io non partivo per la guerra. Partivo per la vita.”
Francesca Caminoli (Lecco 1948) è giornalista professionista, ha lavorato a Milano in quotidiani e periodici fino al 1982, vive a Lucca. Ha pubblicato con Jaca Book Il giorno di Bajram (1999), La neve di Ahmed (2003) ripubblicato nel 2006 in edizione scolastica da Paravia Bruno Mondadori e da cui sono stati tratti diversi spettacoli teatrali, scolastici e non e Viaggio in requiem (2010).
“Ho iniziato, solo per curiosità, a guardare in internet. Ho trovato, penando un po’, che [i senegalesi] avevano liberato l’isola d’Elba. Erano sbarcati sulla spiaggia di Marina di Campo. La spiaggia era minata e erano morti in molti. A questo punto la mia curiosità si è fatta ancora più forte. Quella spiaggia la conosco molto bene. Ci ho passato infanzia e adolescenza. Ci sono tornata con i miei figli e con i miei nipoti. Non ho mai saputo niente di questa storia. Su quella stessa spiaggia oggi d’estate camminano gli ambulanti senegalesi. E anche loro non sanno niente di questa storia. Allora ho deciso di scriverla io.”
Francesca Caminoli, La guerra di Boubacar, Il Grande Vetro/Jacabook, Milano, 2011
“Tirailleurs”, in opposizione a “combattants”, era il nome che contraddistingueva il corpo militare dell’esercito francese costituito da uomini provenienti dalle colonie africane. Oltre all’aspetto denigratorio, “quelli che tirano da un’altra parte” svela la breve formazione militare di questi giovani, lanciati nel campo di guerra spesso in prima linea per l’esercito della Patrie.
L’epilogo della partecipazione di questi combattenti alla Liberazione dal nazifascismo è presentato nel film “Camp de Thiaroye”, realizzato nel 1988 dal grande scrittore e regista senegalese Ousmane Sembène. Quest’opera racconta il trattenimento dei reduci della guerra, molti ex-prigionieri dei campi di concentramento nazisti, a Camp Thiaroye, campo di transito situato alla periferia di Dakar nel quale si attendeva la paga prima di poter ritornare nei Paesi d’origine. Seppur liberata la Francia, i generali francesi ripropongono in territorio africano la gerarchia tipica del colonialismo effettuando nel campo discriminazioni, violenze e umiliazioni. La situazione degenera quando, venuti a sapere che non vi sono soldi per pagare i loro servigi militari, i soldati decidono di ribellarsi. È il 30 novembre 1944. Quella stessa notte i carri armati circondano il campo e tutti gli uomini vengono massacrati senza pietà.
MARIA GIOVANNA CASU, laureata in antropologia all’Università Sapienza di Roma