Il 15 ottobre 1987 Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso, ha lasciato l’esempio e il coraggio per andare avanti nel cammino verso la felicità.
In soli quattro anni ha dato forma ad un governo che voleva garantire il necessario a tutti e tutte. Con politiche a favore del disarmo, dell’accesso all’acqua, alla salute e all’educazione, dell’indipendenza economica e della cancellazione del debito mirava a creare una società autonoma ed egualitaria attraverso la liberazione della donna e dei lavoratori, in primis della classe contadina.
Illuminante è il discorso tenuto al Vertice dell’Organizzazione per l’Unità Africana, ad Addis Abeba, nel luglio del 1987: “Quando ci parlano di crisi economica, dimenticano di dirci che la crisi non è venuta all’improvviso. La crisi è sempre esistita e si aggraverà ogni volta che le masse popolari diventeranno più coscienti dei loro diritti di fronte allo sfruttatore. Oggi c’è crisi perché le masse rifiutano che le ricchezze siano concentrate nelle mani di qualche individuo. C’è crisi perché qualche individuo deposita nelle banche estere delle somme colossali che basterebbero a sviluppare l’Africa. C’è crisi perché di fronte a queste ricchezze individuali che si possono nominare, le masse popolari si rifiutano di vivere nei ghetti e nei bassi fondi. C’è crisi perché i popoli rifiutano dappertutto di essere dentro Soweto di fronte a Johannesburg. C’è quindi lotta, e l’esacerbazione di questa lotta preoccupa chi ha il potere finanziario. Ci si chiede oggi di essere complici della ricerca di un equilibrio. Equilibrio a favore di chi ha il potere finanziario. Equilibrio a scapito delle nostre masse popolari. No! Non possiamo essere complici. No! Non possiamo accompagnare quelli che succhiano il sangue dei nostri popoli e vivono del sudore dei nostri popoli nelle loro azioni assassine.”
Dopo aver applicato un rigido piano di austerità, che riduceva drasticamente i privilegi e le spese pubbliche per sé e la classe dirigente, Sankara rifiutò l’adesione del Burkina Faso al programma del Fondo Monetario Internazionale: “Abbiamo detto al FMI: quello che chiedete noi l’abbiamo già fatto. Abbiamo ridotto i salari dei funzionari, risanato l’economia. Non avete niente da insegnarci. Ci è sembrato di capire che quello che il FMI cerca va ben al di là di un controllo sulla gestione: è un controllo politico. Certo che abbiamo bisogno di denaro, di capitali freschi, ma non al prezzo di un’abbondanza artificiale, di un consumo improduttivo a cui si abbandonerebbe sicuramente una classe dirigente prigioniera del suo confort e di questo stesso FMI. Abbiamo quindi rifiutato i prestiti della Banca Mondiale per alimentare progetti che non abbiamo scelto.”
Rileggere queste parole il 15 ottobre del 2011, giornata di mobilitazione internazionale per un cambiamento globale, ricorda un uomo che ha suggerito al mondo intero una possibile strada da seguire: quella che porta a uno sviluppo centrato sui bisogni di base in solidarietà con gli altri popoli uniti nella stessa lotta.
MARIA GIOVANNA CASU – Laureata in antropologia all’Università Sapienza di Roma