Impressioni dal Cairo

Posted on 7 Feb 2011


Cosa e’ successo prima?

Ci ricordiamo il kamikaze non ancora identificato che ha causato la catastrofe ad Alessandria la notte del 1 Gennaio 2011? E sappiamo come il governo ha chiuso la questione? Si è sostenuto che fosse un palestinese militante di Hamas. Anche Baba Shnouda, capo spirituale dei cristiani copti residente ad Alessandria, ha scosso la testa di fronte a questo infondato tentativo di accusa.

Molti, qua in Egitto, sono convinti che si sia trattato di un tentativo di creare ulteriori tensioni tra i fedeli delle due principali fedi religiose nello stato africano.

Musulmani e copti sono però scesi insieme in piazza Tahrir lo scorso 25 Gennaio, dopo quasi un mese di messe blindate e strade adiacenti alle principali chiese chiuse al traffico. Il regime ha forse avuto sentore di possibili proteste dopo gli ultimi brogli elettorali, come stava già accadendo in Tunisia da alcune settimane? E per questo ha voluto far concentrare l’attenzione degli egiziani sugli scontri religiosi?

In queste ore sta succedendo qualcosa di strano al Cairo.

Chi c’è in piazza? Studenti e giovani esaltati dal clima rivoluzionario contro un regime militare che sembra che stia finalmente crollando, intellettuali che rivendicano diritti che fino ad ora non hanno mai potuto esercitare, persone come tante che sperano in una condizione di vita migliore, ma non solo.

Molte di queste persone presenti in piazza Tahrir vorrebbero tornare a casa ma sono spaventate: qualcuno ha detto loro che se dovessero interrompere il sit-in l’esercito li arresterebbe. Questo qualcuno ha anche provveduto a distrubuire loro del cibo proveniente dalla catena di fast food KFC, oltre ad offrire del denaro per non lasciare la piazza.

Le ultime notizie parlano di militanti di Hamas (dichiarati in quanto hanno delle fasce con il simbolo del partito)  impegnati in posti di blocco per non permettere ai “sostenitori di Mubarak” di raggiungere la piazza e, soprattutto, per non permettere di lasciare la piazza a chi vi è già. Qualcuno dalla piazza chiama alcuni programmi televisivi sostenendo di avere incontrato molti stranieri e si chiedono cosa ci facciano. Saranno spie? Per chi lavorano?

L’unica cosa certa è che i fondamentalisti islamici non aspettano altro che subentrare alla dittatura.E molti musulmani si chiedono “come farebbero i cristiani?” mostrando una serissima preoccuazione.

Via Mubarak subito?

Non sembra sia più questione di Mubarak o non Mubarak. Sembra che la maggior parte degli egiziani (tra i quali i “sostenitori di Mubarak” non sono altro che una esigua minoranza, una ridottissima elite di privilegiati) speri in una transizione guidata dalle nuove nomine di Mubarak. Sanno di avere già ottenuto un grosso risultato dimostrando, per la prima volta dal 1977 quando Sadat represse i moti del pane, di avere il coraggio di rivendicare i propri diritti e la propria liberta’ senza temere il regime dittatoriale.

E qui vorrebbero interrompere il caos che si è creato. Vorrebbero tornare alla vita normale senza coprifuoco e senza terrore delle bande di teppisti (Al Baltagyya, termine ricorrente nella stampa e nei discorsi della gente in questi giorni) che stanno rendendo la vita impossibile agli abitanti di ogni quartiere e tra cui pare ci siano anche numerosissimi poliziotti alcuni dei quali indossano il niqab per non farsi riconoscere.

Gli egiziani sono convinti che, per cambiare un paese che ha silenziosamente subito una dittatura trentennale, serva un pò più di tempo di una settimana. E soprattutto cercano di scongiurare la minaccia dei Fratelli Musulmani.

Insomma, i 78 milioni di egiziani che non sono in piazza, non sono nè a favore di Mubarak nè chiedono che il presidente se ne vada ora. Si dicono soddisfatti delle concessioni del governo provvisorio, credono che queste promesse verranno mantenute e sono consapevoli del fatto che, quanto accaduto, sia la piu’ grossa conquista, se non l’unica, degli ultimi 30 anni.

Game over per Mubarak?

Anche se tali promesse verranno mantenute e il governo darà qualche segnale di apertura al dialogo con le forze di opposizione e con la popolazione, non è escluso che il potere possa passare nelle mani di Gamal Mubarak. Il figlio di Hosny Mubarak, infatti, non ha ancora lasciato il Partito Nazionaldemocratico e non sembra intenzionato a farlo. Dal canto suo, il rais in carica ha dichiarato che, per ovvie questioni di eta’ e di salute, lascera’ la politica, ma di non essere responsabile relativamente alle decisioni del figlio e di non poter quindi interferire in una eventuale candidatura dello stesso.

Cosa stanno pensando gli egiziani in questi giorni?

Tutti gli egiziani sanno benissimo di essere sotto un regime dittatoriale che ha sempre mantenuto l’ordine incutendo terrore nella popolazione. Quasi tutti gli egiziani hanno smesso di fare finta di andare a votare ormai da anni per evitare qualsiasi tipo di problema. Tutti gli egiziani condannano la corruzione diffusa nel loro paese a tutti i livelli, dai funzionari pubblici al portiere del proprio condominio. Tutti gli egiziani sanno che i servizi pubblici, quando presenti, sono di pessima qualità e si rivolgono al settore privato se in possesso dei mezzi disponibili e che il governo Mubarak non ha niente di buono da offrire. Tutti gli egiziani sanno bene che chi ha creato disordini negli ultimi giorni è Mubarak con i suoi aprendo le carceri e costringendo i detenuti (anche quelli a cui mancavano pochi mesi per scontare la pena e sarebbero rimasti dentro) a uscire, facendo infiltrare i poliziotti tra i manifestanti per mostrare alla comunita’ internazionale la necessita’ di intervento dell’esercito di fronte alla violenza dei rivoltosi. Tutti gli egiziani condannano le aggressioni ai manifestanti e ai giornalisti, l’interruzione dei mezzi di comunicazione (internet, cellulari, canali televisivi come Al Jazeera), l’insistenza di Mubarak di non volersi fare da parte, la propaganda attraverso messaggi delle compagnie telefoniche.

 

Ma perchè allora la maggior parte degli egiziani spera in una transizione più lenta guidata dall’attuale governo?

I 30 anni della dittatura di Mubarak hanno impedito la formazione di una classe politica ben definita e la nascita di partiti guidati da personaggi di spicco. Le uniche alternative possibili nell’immediato sembrano essere i Fratelli Musulmani oppure rimanere nel caos causato molto probabilmente da ciò che resta del regime, ma dal quale gli egiziani si augurano di uscire presto.

A noi può sembrare assurdo che un popolo accetti un compromesso del genere, ma gli egiziani hanno paura. Paura di perdere ciò che hanno costruito, paura che accada qualcosa di spiacevole alle loro famiglie, paura che arrivi qualcuno o qualcosa peggio di Mubarak. E qui è lutto per una citta’ distrutta.

Io, italiana al Cairo.

Reduce da una brutta influenza, fino alla mattina di giovedì 27 Gennaio ho seguito gli avvenimenti solo in tv. Uscita nel primo pomeriggio, mi dirigo verso la piccola drogheria di fronte a casa. Trovo il proprietario che, proprio in quel momento, chiude la serranda e mi invita a tornare a casa. Non capisco, ma noto dei ragazzi con dei bastoni in mano e visibilmente agitati. Decido di dare un’occhiata sulla strada principale e vedo che è pieno di uomini che brandiscono chi dei bastoni, chi dei coltelli da cucina. La mia preoccupazione aumenta quando un ragazzo con una pistola mi si avvicina raccomandandomi di correre a casa e avvisare i vicini che bambini, ragazze e donne non devono uscire in strada. Non mi lascia il tempo ci chiedere spiegazioni, decido quindi di seguire il consiglio. Una volta a casa, suonano alla porta. E’ un vicino che cerca mio marito perche’, mi dice: “Dobbiamo uscire e stare in strada, sono entrati, hanno distrutto alcune auto, saccheggiato dei negozi e torneranno presto”.

E infatti, da ben 8 giorni, da quando la polizia è sparita e si èmischiata ai teppisti e agli ex detenuti, viviamo asserragliati, uomini e ragazzi in strada e donne e bambini in casa attaccati alla tv per le ultime notizie. Ci difendiamo dai tentativi di assalto delle bande di teppisti con spranghe, sassi, molotov e qualche arma da fuoco. I ragazzi che organizzano i posti di blocco perquisiscono motorini, auto, microbus, bus turistici e non sanno mai chi troveranno a bordo. L’esercito si limita a qualche visita per verificare se e’ tutto sotto controllo, ringrazia i ragazzi e chiede di fermare anche i manifestanti che si dirigono verso Tahrir, o che da Tahrir tornano, durante le ore di questo coprifuoco che in pochi rispettano.

La mattina, invece, si esce tranquillamente, i negozi, quelli sopravvissuti ai saccheggi, sono aperti e si trova quasi tutto.

Tutto sommato mi sento al sicuro, protetta da vicini e amici egiziani anche se dimenticata dall’ambasciata e dal governo del mio paese che, a parte qualche frase di circostanza arrivata con notevole ritardo, sembrano non essere troppo interessati alla faccenda.

 

LAURA FARA, Laureata in Lingue Straniere a Sassari, ha lavorato presso Organizzazioni Non Governative in Siria ed Egitto. Arabista, è attualmente impegnata in studi linguistici presso l’ Università Americana del Cairo.

Foto: Hossam el- Hamalawy, Rivoluzione del 25 gennaio 2011.