Gli Ogiek: un piccolo viaggio in una comunità orfana

Posted on 7 Dic 2011


Terra rossa, una giornata nuvolosa sulle magnifiche distese verdi della “Great Rift Valley” e l’auto pericolosamente a tutta velocità. Le immagini volano veloci dal finestrino oscurato, mentre ci inoltriamo all’interno, lontani dai centri urbani del Kenia. Ndungulu è un piccolo villaggio Ogiek. Un gruppo di donne anziane ci accoglie con un canto gioioso ed un’aria vagamente festosa. L’ospitalità é la regola e la curiosità della piccola comunità per la visita della “mzungu” è ovviamente tanta. In realtà, avrebbero davvero poco da festeggiare.

La comunità Ogiek conta, secondo l’ultimo censimento, circa 40.000 persone, ed è stata “rilocata” in altre aree dalle politiche di “protezione ambientale” del governo keniota. Originari delle foreste Mau a nord-ovest di Nairobi e quelle del monte Elgon al confine con l’Uganda, gli Ogiek sono tradizionalmente cacciatori nomadi, produttori di alveari e raccoglitori di miele, attività oggi accompagnate da piccole produzioni agricole. Hanno dovuto proteggere le loro “terre ancestrali” dai coloni inglesi, prima e, paradossalmente, contro il loro stesso governo indipendente, poi.

Le prime lottizzazioni della Foresta Mau iniziarono durante gli anni ’40 con l’allontanamento delle popolazioni locali e la creazione delle “White Highlands”. Tale processo continuò durante l’indipendenza, quando gli allontanamenti forzosi di diverse comunità dalle loro terre divennero un fenomeno ricorrente. Durante il regime Moi (1978-2002), e soprattutto con il ritorno al regime multi-partitico nel 1991, la distribuzione dei lotti in cui la foresta Mau veniva via via suddivisa era il modo con cui ricompensare i sostenitori politici per la lealtà al capo. Nel 2001, il regime spianò 150.000 acri di foresta a beneficio di sfollati vittime degli allontanamenti dell’epoca coloniale. Anche in quel caso, tranne rare eccezioni, né gli Ogiek, né altri sfollati ricevettero alcuna compensazione: la maggior parte dei lotti venne concesso illegalmente ai “clienti” del regime e non agli sfollati. Non a caso, la zona della Rift Valley è stata teatro dei più violenti scontri del 2007-08 scoppiati tra il presidente uscente Kibaki e Raila Odinga, leader dell’Orange Democratic Movement, il principale partito all’opposizione. Quest’ultima ha usato come arma politica l’atteggiamento troppo filo-Kikuyu del presidente, comunità a cui appartiene, portando lo scontro sulle risorse sul piano ‘etnico’.

E’ interessante notare come gli allontanamenti forzati siano stati anche giustificati dal governo in nome della protezione dell’ambiente. La foresta è, infatti, al centro di una grave crisi ecologica causata da un feroce abbattimento degli alberi e dalle sue ripercussioni soprattutto sul sistema idrico. Le popolazioni indigene ne sarebbero dirette responsabili. Una  tesi certamente discutibile viste le concessioni date, dallo stesso governo, a diverse compagnie per lo sfruttamento del legno, di cui parlamentari o gli stessi ministri detengono alcune quote.

Insomma, per gli Ogiek di Ndungulu e altre comunità scacciate dalle loro terre, si prospettano ancora anni difficili. I più fortunati possono contare almeno su una piccola porzione di terra su cui possono allevare qualche animale domestico o coltivare gli ortaggi per la famiglia. Ma la maggior parte non ha niente, e vive all’interno di baracche fatiscenti. I servizi di base poi, sono inesistenti per tutti. Una scuola, gestita da volontari, è stata recentemente aperta nel villaggio. L’altra, quella pubblica, è lontana e comunque troppo costosa per tanti. Le anziane si mostrano intimorite a parlare direttamente con  la “mzungu” alla presenza degli uomini. Non appena rimaniamo da sole,  i “problemi delle donne” vengono a galla, la salute in primis soprattutto in riferimento al periodo della gravidanza.

La visita si conclude con un “pranzo leggero”; si scusano, avrebbero potuto preparare qualcosa di delizioso se avessero ancora il loro miele. “Vedi, ora dobbiamo mangiare questo”. Lo sguardo orfano, il pensiero alle foreste da cui sono stati ingiustamente allontanati. L’ultima immagine, prima di ripartire in direzione di Nakuru, è quella delle anziane, nei loro abiti colorati, sedute sulla cima di un piccolo rialzo del giardino ricoperto dal prato verde, con il sole ad illuminare i loro visi rugosi, bellissimi, sereni.

MARIA SERRENTI, CSAS – Centro Studi Africani in Sardegna


FONTI: Grands Reportes | Ogiek | Internal displacement | Minorityrights | africapi