Dopo avervi parlato di Ellen Johnson Sirleaf, vi proponiamo un ritratto dell’altra liberiana insignita del Nobel per la Pace: Leymah Gbowee.
Nell’annuncio ufficiale dell’assegnazione del Premio Nobel per la Pace, il comitato norvegese ha specificato che il premio le viene attribuito per aver:
“mobilitato e organizzato le donne, al di là di divisioni etniche e religiose, per far terminare la lunga guerra in Liberia, e per aver assicurato la partecipazione delle donne alle elezioni. Da allora, ha lavorato per aumentare l’influenza delle donne in Africa Occidentale, durante e dopo le guerre”.
Nell’apprendere dell’aver ricevuto l’importante premio, Leymah Gbowee ha dichiarato che si tratta di un “riconoscimento a tutte le donne, in particolare a quelle africane” e “un omaggio a Wangari Maathai”, la prima donna africana Nobel per la Pace, recentemente scomparsa, della quale vi abbiamo parlato anche su queste pagine. La Gbowee ha poi modestamente sminuito il proprio contributo personale, affermando di non aver fatto “nulla di straordinario”. Eppure, nonostante sia giovanissima per i nostri standard – non ha ancora compiuto quarant’anni – ha già lasciato il segno nella storia della Liberia, e non solo.
Il suo nome è stato associato soprattutto all’organizzazione di uno sciopero del sesso per protestare contro la guerra, un’idea non certo nuova, visto che ne parlava già Aristofane nella commedia “Lisistrata” duemila e rotti anni fa, ma evidentemente ancora efficace, almeno per attirare l’attenzione dei mass media. Tuttavia, l’impegno della Gbowee non si riduce certo a questa iniziativa.
La “carriera” da attivista per la pace di Leymah Gbowee ha inizio nel 1998, quando comincia a lavorare come volontaria in progetti di riabilitazione post-trauma rivolti ai bambini soldato, una piaga delle guerre in Africa occidentale (come raccontato anche nel famoso libro “Memorie di un Soldato Bambino” di Ishmael Beah). Nel 2002, mentre infuria la seconda guerra civile liberiana, Leymah Gbowee, di religione cristiana e vicina alle posizioni dei mennoniti (pacifisti e impegnati per una chiesa povera materialmente), decide di mobilitare le donne di tutte le fedi religiose per pregare insieme per la fine delle ostilità. “Siete stufe della guerra?”, con questo annuncio radiofonico le donne vengono invitate a riunirsi al mercato del pesce, vestite di bianco e con i capelli nascosti da un foulard, una mortificazione esteriore che riflette il dramma della guerra, ancor più evidente in un paese dove le donne tradizionalmente portano abiti multicolori ed elaborate pettinature. La risposta è massiccia, e migliaia di donne finiscono per unirsi al movimento, che oltre alle preghiere, organizza sit-in, marce, e appunto il famoso sciopero del sesso. Nel 2003, dopo aver strappato al presidente Charles Taylor la promessa di partecipare ai negoziati di pace, una delegazione di attiviste guidate dalla Gbowee si reca in Ghana per presidiare l’hotel dove si svolge il vertice, di fatto impedendo ai delegati di abbandonare le trattative. Nel giro di poche settimane, gli accordi di pace sono firmati e inizia una nuova fase della storia liberiana, che in pochi anni porta all’elezione di Ellen Johnson Sirleaf.
Negli anni successivi, Leymah Gbowee continua a lavorare per promuovere il ruolo delle donne nel raggiungimento e nel consolidamento della pace, sia approfondendo i suoi studi (nel 2007 consegue un Master in Trasformazione dei Conflitti), sia condividendo la propria esperienza. Partecipa infatti a conferenze, seminari, scrive (con Carol Mithers) il libro “Mighty be our Powers”, non ancora tradotto in italiano, ed è protagonista di un documentario, “Pray the Devil Back to Hell”, del quale potete vedere alcuni estratti qui (in lingua inglese), premiato, tra gli altri, al Tribeca film festival.
ANNALISA ADDIS, CSAS – Centro Studi Africani in Sardegna