Che bella Bamako! Dopo tre anni dal mio primo viaggio è stato davvero bello poter ritornare… un sorriso divertito mi si è stampato sulla faccia quando, atterrando, mi sono resa conto che la capitale del Mali mi stava per accogliere ‘calorosamente’… questo è, infatti, il periodo più caldo dell’anno: la notte non si scende sotto i 28-29 gradi mentre durante il giorno si superano facilmente i 40. L’harmattan, caldo e avvolgente, sollevava la sabbia, abbracciando la città con una nebbiolina rossa.
Il giorno seguente, lunedì 19, niente lasciava presagire la tragedia che si sarebbe abbattuta sul paese solo due giorni dopo. La città, caotica, polverosa, indaffarata, era presa dalle sue attività quotidiane: il mercato era un brulichio colorato di venditori e donne alla ricerca dei prodotti per i pasti della giornata; le strade, un groviglio impazzito di auto e moto Jakarta. La mia prima tappa: la famiglia Samaké, che mi aveva generosamente ospitato nel 2008. Rivedere il quartiere, Djicoroni Para, è stata un’emozione fortissima: il complesso ministeriale, allora in costruzione, è stato nel frattempo completato e ormai è operativo. La scritta “Malibya”, enorme, sulle pareti del palazzo più alto, è stata rimossa: tutto il complesso è stato finanziato dal colonnello Gheddafi ed evidentemente dopo la sua caduta si è preferito rimuoverla. La rotonda è stata sostituita da un nuovissimo sistema stradale che finalmente ha messo fine ai terribili ingorghi polverosi a cui mi ero abituata nel mio ultimo viaggio, quando pericolosamente cercavamo di superare il groviglio di lamiere incandescenti in sella al nostro scooter. Le immagini mi scorrono davanti come istantanee man mano che la vettura si avvicina alla casa della famiglia Samaké: l’internet caffè, la base militare dei paracadutisti, il mercato, la bottega del sarto che confezionò i miei vestiti africani… finalmente la porta di casa…
Che belle le donne del Mali! Sento ancora fortissimi gli abbracci calorosi delle donne di casa Samaké… è stato bellissimo poterle rivedere dopo 3 lunghi anni. Sono loro che mi accolsero in quei due mesi alla fine del 2008 è con loro che si creò un legame fortissimo, malgrado non potessimo comunicare, poichè loro parlavano solo il Bambara. Il lavoro infaticabile, la forza d’animo, la pazienza davanti alle tante difficoltà di una famiglia povera, dei mariti assenti, le rendeva belle, bellissime. E lo sono ancora. Allora, mi insegnarono tante cose, senza parlare. I bambini poi, mi hanno accolta con una festa incredibile… ripenso alle calde serate di tre anni fa passate con loro a fare i compitini per la scuola seduti nel cortile sugli sgabellini di legno.
Che bello il Mali! Dove la gente è accogliente per definizione e il cousinage e l’interdipendenza sono i pilastri su cui si regge una società estremamente pacifica. Con cousinage si fa riferimento a una serie di battibecchi, insulti rivolti in modo scherzoso a persone provenienti da linee familiari diverse. Ad esempio, nel 2008, mi è stato assegnato il cognome “Samaké”. Presentandomi in questo modo, spesso mi sono sentita rivolgere insulti scherzosi quali “mangiatore di pesce” o “i Samaké puzzano di pesce. Meglio essere un Traoré!”… di solito ne nasce una disputa comica per cercare di cambiare il mio nome in Traoré, Cissé, Diarra, secondo l’appartenenza familiare dei presenti. Tra clan familiari cugini la tradizione proibisce i matrimoni e questi alterchi sono la norma. Tuttavia, nel caso ci sia una seria discussione, i cousins fanno da mediatori e riportano la pace. È questa la forza del Mali, il pacifismo della sua gente.
Povera Bamako! Il colpo di stato è arrivato quasi dal nulla. All’inizio non era nemmeno un colpo di stato… era piuttosto un ammutinamento dell’esercito che poi… è andato un troppo oltre… Esattamente due settimane fa mi trovavo in una scuola di danza durante un programma di recupero per i bimbi di strada. Un gruppo di bambini eseguiva diligentemente i passi indicati dalla maestra quando un’altra insegnante, terrorizzata, è arrivata con le ultime notizie: “I militari stanno marciando! È colpo di stato! È colpo di stato!”.
Siamo scappate via, occhi grandi per la paura, lo stupore. Fortunatamente, la casa della famiglia Touré, che mi ospitava, era poco distante, in uno dei quartieri popolari sulla riva destra del fiume. “Finalmente sono al sicuro!” penso. Poco dopo, a casa, io e la signora Amin abbiamo iniziato a sentire i primi colpi… “È un petardo… ah no aspetta questi erano spari!”. Intanto, arrivavano le prime notizie: “ATT [Ahmadou Tourami Touré] è fuggito, i militari hanno preso la tv di stato, i soldati stanno saccheggiando i quartieri”… Nel quartiere, un signore ha cercato di opporsi alla requisizione forzata della sua auto da parte dei militari: è stato ucciso. Quella sera, il capitano Sanogo ha annunciato ufficialmente alla tv pubblica il colpo di stato.
Nei due giorni seguenti i colpi di arma da fuoco sono diventati parte del nostro quotidiano. La cosa più impressionante è stata vedere il quartiere cercare di andare avanti nonostante gli avvenimenti. Paradossalmente, le giornate per me diventavano piuttosto noiose: mi era vietato uscire e l’unica cosa che potevo fare era cercare di capire cosa sta succedendo, dalla tv, dalla famiglia che mi stava ospitando… “Nel 1991 era molto peggio. Questo non ci spaventa. Nel 1991 mi hanno sparato, vedi qui? Ero sul Pont des Martyrs, dove tanta gente è stata uccisa. Questo non mi spaventa… però metterà il paese in forte ritardo…”. Le persone erano ancora incredule: la popolazione aspettava ormai con ansia la fine dell’era ATT, capiva le ragioni delle proteste dei soldati mandati “al macello” nel nord del paese a combattere la ribellione Tuareg e le milizie di AQMI (Al Qaeda nel Maghreb Islamico) … ma un colpo di stato a poco più di un mese dalle elezioni era davvero incomprensibile oltre che stupido. La famiglia Samaké, a Djicoroni Para sull’altra riva del fiume, si è ritrovata al centro degli avvenimenti: il presidente deposto ha trovato rifugio proprio in quel quartiere, tra la base dei paracadutisti e l’Ambasciata americana secondo alcuni, presso il domicilio di un capo quartiere secondo altri.
Povero Mali! Il vuoto creato dal colpo di stato ha lasciato campo libero alle milizie del nord… a pochi giorni dal golpe, Kidal, Gao e Timbuctou sono state circondate… la preoccupazione a casa Touré è iniziata a crescere: Kalifa, il capofamiglia, è originario di Gao, i suoi parenti abitano ancora lì… Lascio il Mali giusto in tempo, prima che richiudessero l’aeroporto, e con l’amaro in bocca. Quelle due settimane di soggiorno in Mali le avevo immaginate in maniera molto diversa. Così una settimana esatta dal golpe, sono dovuta scappar via, con uno degli ultimi posti rimasti su un volo diretto a Dakar…
Il Mali si sarebbe ritrovato, incredulo, diviso in due solamente 4-5 giorni dopo la mia partenza. Il nord è stato saccheggiato, mutilato, umiliato. Le donne violentate davanti ai loro mariti e figli. I rifugiati sembrano ormai essere più di 200.000. L’embargo voluto dalla CEDEAO metterà in ginocchio il paese in poche settimane, giorni.
Ma la gente del Mali è forte e non si è data per vinta. Già una volta, negli anni ’90, la società civile è riuscita ad arrivare agli Accordi di Tombouctou che hanno posto fine a una terribile guerra civile. Non i politici, i tecnici, le organizzazioni internazionali. È stata opera di una società civile estemamente laboriosa, pacifica, che ha un senso democratico profondo. Ora la stessa società civile, seppur ancora ferita, stravolta, umiliata, si è rimboccata le maniche e ha lanciato due iniziative importanti: la prima è “Initiative pour la Paix dans le Sahel – IPPS” mentre la seconda è “Cri de Coeur pour le Nord Mali”. Gli obiettivi sono: il ritorno all’ordine costituzionale e lo stop alla corsa alle armi… ne girano già a sufficienza nel Sahel! Per firmarle entrambe sono sufficienti pochissimi minuti. È un gesto, piccolo, ma concreto per aiutare tante persone in difficoltà. Ma è anche un aiuto verso noi stessi: la latitanza colpevole e miope dei nostri media attorcigliata nelle querelles nostrane, non è riuscita a spiegarci che la creazione di uno stato “islamico” nel Sahara, l’Azawad, destinato a diventare un grande scalo di commercio e smistamento di cocaina, armi, esseri umani, è un’enorme minaccia soprattutto per l’Italia.
Io ho già firmato. Tu cosa aspetti?
MARIA SERRENTI, CSAS – Centro Studi Africani in Sardegna